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I pediatri sardi sono in rivolta. Ci sono “montagne” di telefonate ricevute ogni giorno, dall’inizio dell’emergenza Covid, e ognuna vuol dire occuparsi di un caso più o meno disperato di genitori alle prese con un piccolo con sintomi. E, ora, spunta l’ipotesi di dover fare i tamponi. E loro, pediatri e pediatre isolani, non ci stanno. La loro voce viene amplificata da Paolo Zandara, segretario regionale del Sispe. L’accordo nazionale sui tamponi è stato firmato, ma la paura e la preoccupazione è tanta: “Vanno fatti in perfetta sicurezza, ai pediatri non vengono forniti nemmeno, per fare un esempio, camici impermeabili, quelli dati non sono quelli previsti, e hanno ricevuto poche paia di guanti e mascherine. Il tampone a un bimbo libera una quantità impensabile di droplets nell’aria, bisogna tenerlo fermo ed è come un incontro di wrestling”, afferma Zandara. “Vogliamo operare in condizioni di sicurezza, ce la può garantire lo la Regione, non possiamo seguire bambini senza patologie e far correre loro il rischio di contagiarsi”.
“Se poi il tracciamento viene ritardato, rimandiamo in giro bambini asintomatici. Corriamo il rischio di operare in una situazione di emergenza ma si corre ugualmente il rischio di non arginare la pandemia”, osserva Zandara, 67 anni, pediatra da tre decenni”. Sicurezza è la parola d’ordine: “L’accordo è stato firmato a livello nazionale, ora la Regione preme tramite i suoi funzionari per farci fare i tamponi ma non ci sono ancora stati dati tutti i dispositivi di protezione individuale”.