Attuale più che mai e non solo perché ricorre la celebrazione della giornata internazionale contro la violenza di genere, bensì per i fatti tragici che la cronaca ancora riporta: violenza inaudita nei confronti delle donne che amano e vengono annientate da chi, invece, ha bisogno solo di possedere, dominare, comandare. Usare.
Le opere sono scaturite dalle riflessioni dell’artista su un fatto di cronaca del 1975, tristemente noto come il massacro del Circeo. Due ragazze di 17 e 19 anni vennero recluse, stuprate e seviziate in una villa del litorale laziale, fino a provocare la morte di una e la sopravvivenza – in un’agonia prolungata – dell’altra. Un fatto di cronaca che non si è mai cancellato dalla memoria degli italiani e delle italiane, sia per la sua barbarie ed efferatezza sia perché ne sono stati tratti documentari, romanzi, film e serie. Ai tempi del massacro del Circeo non esisteva ancora la parola femminicidio, e gli stupri e violenze sulle donne erano delitti contro la pubblica morale e non contro la persona, bisognerà infatti aspettare la Legge 66 del 15 febbraio 1996 perché il reato di violenza sessuale, o stupro, venisse riconosciuto come delitto contro la persona e contro la libera autodeterminazione della donna nella propria sfera sessuale. In occasione del 25 novembre, Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, grazie allo spirito organizzativo di Angelica Baldus e di Progresso donna, è stato deciso di invitare Maria Grazia Medda ad esporre una selezione di questa sue serie di opere, esposta per la prima volta con il titolo Cantando sussurrati gridi, a cura di Alessandra Menesini, perché riteniamo che queste tele, iniziate nel 1989, siano oggi quanto mai attuali. Alcune recano sul retro la data 1996, anno della mostra ma anche della legge 66.
“Straziai, ma le ricucii anche con fili d’oro, perché noi donne siamo capaci di lenire e suturare le ferite. I collant che usai per la mostra “Cantando sussurrati gridi” del 1996, erano esclusivamente neri, con qualche pezzo di calza rossa; violenza ma anche forza di rinascita” spiega l’artista. Le abili dita di Maria Grazia con fili d’oro e d’argento segnano nuove trame e vestono di preziosità le lacune e le cicatrici interiori. Questa ricucitura con i fili d’oro rimanda all’arte giapponese del kintsugi, le riparazioni con l’oro delle tazze in ceramica per la cerimonia del tè, risalente al XV secolo, che suggerisce il valore conferito a una ferita, l’inizio del suo riscatto.
L’arte di Maria Grazia Medda interpreta il tema della violenza sulle donne con una drammaticità che si fa poesia e compianto, sceglie di dare voce al linguaggio della materia, e di adottare un canone astratto, per suscitare stati d’animo che muovono il pubblico verso sentimenti plurivoci come la rabbia, la pietas, la commozione, l’impotenza, la desolazione e lo sconforto. E se i sentimenti sono astratti, come il linguaggio artistico scelto da Maria Grazia Medda, la realtà che descrive è profondamente tangibile.
Il dolore svelato è una mostra che ha l’intento di dialogare con una cittadinanza che non smette di credere nel valore dell’impegno civile e della sua progettualità, e che, attraverso l’arte e grazie al supporto dell’associazionismo e del volontariato, tiene vigile e viva un’intera comunità.