
Un giorno di festa, di liete notizie per Mauro Topolino. Ecco gli ultimi aggiornamenti sulle condizioni del labrador pelle e ossa ricoverato alla Clinica Veterinaria Due Mari di Oristano: «Allora, il Conte Mauro sembra migliorare di ora in ora. Le sue analisi vedono un netto miglioramento, gli emocromi sembrano quelli di un cane molto malato, ma vivo e non già morto. Gli ematochimici quelli di uno che ha appena attraversato il deserto, ma e’ caduto dentro una pozza d’acqua di fonte, i reni hanno ripreso a funzionare. I test di funzionalità epatica tendono alla normalizzazione e non più al “ci siamo mangiati anche il fegato”; gli elettroliti e il ph sembrano finalmente sotto controllo e udite udite la temperatura regge !!! Stabilmente oltre i 37, I suoi parassiti ematofagi intestinali sono stati sgominati e le sue feci assomigliano più alla cacca che al cibo che gli somministriamo E che passava praticamente indigerito. Quindi vi preghiamo ora che sapete tutto, lasciateci lavorare, lui non è’ ancora in grado di ricevere visite noi siamo stremati ma felici. Auguriamoci tutti che sia davvero Pasqua anche per Mauro.
LA STORIA DI MAURO TOPOLINO. Mucchio d’ossa, come viene titolato sulla testata on line, Sardegna Blogger il pezzo di Romina Fiore, un servizio che fa davvero venire i brividi ma che allo stesso tempo fa riflettere, spezza quel filo conduttore tra la vita e la morte, di una povera bestiola che lotta contro tutti e tutto per superare questa brutta disavventura, ma che di ora in ora riaccende quella flebile speranza chiamata “Vita”: «Mucchio d’ossa è il titolo di un celebre romanzo di Stephen King – scrive Romina Fiore – che nulla ha a che vedere con la magrezza, eppure è stata la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho visto la foto di quella povera bestiola. Non è un più cane, un tempo lo è stato. Ora è un cumulo di ossa con cui, se fossero esposte, si potrebbe giocare a Shanghai. C’è un lieve strato di pelle che le ricopre, ma sono lì in vetrina, talmente visibili che è facile contarle. Non avevamo ancora finito di esultare per la guarigione di Palla (simil pitbull salvato dai veterinari della Clinica Duemari di Oristano ndr.) che arriva lui a tenerci incollati al monitor col fiato sospeso. E’ l’ultimo rottame per il quale si chiede un miracolo ai veterinari della Clinica oristanese. L’hanno chiamato affettuosamente Mauro Saccodiossa e le sue condizioni erano molto più che disperate. Abbandonato in una scatola di cartone, legato a un paracarro, ha stazionato lì dentro per giorni, senza mangiare né bere, incapace di procurarsi del cibo. Perché il bastardo non è solo l’essere disumano che l’ha abbandonato, condannandolo a morte certa con quel cappio al collo, ma anche tutti i proprietari degli occhi che su quella scatola di cartone si sono posati per un attimo, passando oltre in silenzio. Mauro è rimasto lì per giorni, in attesa di mani che porgessero cibo, carezze e aiuto. Mani che non sono arrivate, fino al recupero di quello scheletro. Sono stati tre giorni di passione, i primi trascorsi dopo il ricovero. Ore di ansia, di analisi impazzite lette col fiato sospeso, di alimentazione sottocutanea con flebo, di terapie somministrate senza sosta, di coperte riscaldate per sollevargli la temperatura. E quel mucchio d’ossa, adagiato senza forze, sembrava camminare stancamente verso la morte. Appariva davvero troppo stremato per fare il funambolo tra questa vita e quell’altra e, consapevole dell’affetto e delle cure che lo circondavano, sembrava ormai pronto a lasciarsi andare. Poi, inaspettatamente, dopo lunghi giorni e interminabili notti, ha sollevato la testa e si è guardato intorno con due occhi finalmente presenti. Occhi tornati a fatica dal buio. E tutti quei volti, incollati ai monitor, che seguivano preoccupati la vicenda, incluso il mio, hanno tirato un sospiro di sollievo. Eppure c’è chi storce il naso ed esorta ad assistere gli uomini, anziché gli animali. Insomma, che vuoi? in fondo è solo un cane. Ignorando, forse, che le due cose non si escludono a vicenda e ci si può prodigare per entrambi. E invece, spesso, dietro quei j’accuse si cela il monito ipocrita di chi non aiuta proprio. Né gli uni, né gli altri».
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