Luca Murgia, orologiaio di Stampace, una delle poche botteghe artigianali ancora aperte nel cuore di Cagliari. E’ lui lo stampacino di Casteddu Online, il volto storico che informerà i cittadini sui problemi del quartiere. Tra le vie che ospitano anche la chiesa dedicata a Efisio, storia, cultura e tradizioni si snodano tra le mura che hanno resistito nel tempo, simboli di una Cagliari calma, lenta, operaia e produttiva che oggi è presa d’assalto dalla movida. Pulizia e sicurezza scarseggiano, oltraggiando la memoria di chi non demorde e intravede un futuro più propenso alla ricerca della qualità piuttosto che quella del consumismo. Tra chi vive nel presente con il cuore nel passato e la speranza di un futuro diverso per il quartiere cagliaritano c’è Luca Murgia, 48 anni, orologiaio, una bottega che va avanti da generazioni e che, in qualche modo, tramanderà ai suoi figli di 14 anni. Negli anni settanta è il papà che decide di aprire una orologeria nel cuore di Stampace, in via Santa Restituta, “ricordo quello che era l’animo di questo quartiere, un quartiere storico, Stampace, che pullulava di una realtà completa perché era un quartiere dove qualsiasi servizio era presente. Tante botteghe, sia artigiane che di servizio, erano presenti generi alimentari, a fianco al nostro laboratorio c’era la falegnameria, poi ricordo la latteria, il bar era un servizio per un caffè, un cappuccino e la pasta; c’erano dei negozi che fungevano da drogheria, quelli che vendevano i tessuti e tutto questo era presente tra, via Azuni, via Fara, la Piazza Yenne. C’era qualsiasi genere di attività e in più c’era il mercato di Santa Chiara che era quel punto di ritrovo dove si poteva trovare qualsiasi cosa. Il quartiere presentava dei servizi per qualsiasi esigenza e chi viveva sfruttava questi servizi senza doversi spostare”.
Il cuore vivo che batteva, più che mai, “dove si creava una familiarità tra abitanti ed esercenti: ora è rimasto ben poco”.
Con nostalgia Murgia parla di cosa e come è cambiato, “ora ci sono tre o quattro attività storiche tra cui, appunto, il mio laboratorio e manca molto la presenza di queste realtà perché si creava la familiarità anche tra lavoratori. Quando si sollevavano le serrande si respirava proprio la vita di un quartiere in movimento, ora abbiamo soltanto bar, locali movida e stampace non ha più quello che io chiamo un’identità ma soltanto un transito di persone e un’economia basata esclusivamente sul consumismo”.
Artigiani, ossia coloro che creano, realizzano con le proprie mani e che offrono prodotti che durano nel tempo e che dispongono “della sensibilità che le macchine di certo non danno. Il consumismo ha portato la chiusura di tante attività artigiane, botteghe, questo perché ci si è spostati sull’economico, sulla grande distribuzione e a pensare che quando si l’oggetto, la merce si rovina si compra un altro. Per me è un grande dispiacere anche se, piano piano, si sta tornando a qualcosa di fatto bene, all’arte degli artigiani insomma. Già dalle scuole dovrebbero trasmettere questo messaggio”.
Un quartiere che meriterebbe qualche cosa in più, “soprattutto il rispetto perché purtroppo è un po’ abbandonato a se stesso da tutti i punti di vista e ritengo che dovrebbe essere valorizzato sia dal punto di vista estetico, che culturale: quando era abitato da abitanti partecipi al quartiere, dalle attività che lo animavano, queste figure tutelavano il quartiere da tutti i punti di vista. Quello della sicurezza, pulizia, ordine e questo oggi invece non c’è più, purtroppo è venuto a mancare”.
Si combatte per riprendere in mano Stampace, non si demorde poiché è troppo alta la posta in gioco: “Io la mattina arrivò molto presto in laboratorio, verso le 7:15 sono a Stampace, percorro un pezzettino di strada a piedi e si ha quell’impatto di entrare in un posto a sé, come se entrassi da una città in un piccolo paese. Si incomincia a vedere qualche attività, che può essere un bar, un negozio che anch’esse hanno cominciato ad aprire le proprie serrande di primo mattino, faccio la mia rampa di scale, apro le serrande e ho vista sulla chiesa di Sant’Anna, in penombra con i lampioni ancora accesi. Una sensazione di pace, ci sono le campane che scandiscono le ore e le mezz’ore, il quartiere sta ancora dormendo. Io questa sensazione l’ho sempre avvertita ed è un qualche cosa che non è riproponibile in tanti posti all’interno della città. Forse per la bellezza, per il fascino e mi porto dietro questa emozione, sensazione, una cosa stupenda che auguro a chiunque, ossia quella di trovare un piccolo quartiere di Stampace dove aprire la propria bottega e portare avanti il proprio mestiere”.
Il cuore vivo che batteva, più che mai, “dove si creava una familiarità tra abitanti ed esercenti: ora è rimasto ben poco”.
Con nostalgia Murgia parla di cosa e come è cambiato, “ora ci sono tre o quattro attività storiche tra cui, appunto, il mio laboratorio e manca molto la presenza di queste realtà perché si creava la familiarità anche tra lavoratori. Quando si sollevavano le serrande si respirava proprio la vita di un quartiere in movimento, ora abbiamo soltanto bar, locali movida e stampace non ha più quello che io chiamo un’identità ma soltanto un transito di persone e un’economia basata esclusivamente sul consumismo”.
Artigiani, ossia coloro che creano, realizzano con le proprie mani e che offrono prodotti che durano nel tempo e che dispongono “della sensibilità che le macchine di certo non danno. Il consumismo ha portato la chiusura di tante attività artigiane, botteghe, questo perché ci si è spostati sull’economico, sulla grande distribuzione e a pensare che quando si l’oggetto, la merce si rovina si compra un altro. Per me è un grande dispiacere anche se, piano piano, si sta tornando a qualcosa di fatto bene, all’arte degli artigiani insomma. Già dalle scuole dovrebbero trasmettere questo messaggio”.
Un quartiere che meriterebbe qualche cosa in più, “soprattutto il rispetto perché purtroppo è un po’ abbandonato a se stesso da tutti i punti di vista e ritengo che dovrebbe essere valorizzato sia dal punto di vista estetico, che culturale: quando era abitato da abitanti partecipi al quartiere, dalle attività che lo animavano, queste figure tutelavano il quartiere da tutti i punti di vista. Quello della sicurezza, pulizia, ordine e questo oggi invece non c’è più, purtroppo è venuto a mancare”.
Si combatte per riprendere in mano Stampace, non si demorde poiché è troppo alta la posta in gioco: “Io la mattina arrivò molto presto in laboratorio, verso le 7:15 sono a Stampace, percorro un pezzettino di strada a piedi e si ha quell’impatto di entrare in un posto a sé, come se entrassi da una città in un piccolo paese. Si incomincia a vedere qualche attività, che può essere un bar, un negozio che anch’esse hanno cominciato ad aprire le proprie serrande di primo mattino, faccio la mia rampa di scale, apro le serrande e ho vista sulla chiesa di Sant’Anna, in penombra con i lampioni ancora accesi. Una sensazione di pace, ci sono le campane che scandiscono le ore e le mezz’ore, il quartiere sta ancora dormendo. Io questa sensazione l’ho sempre avvertita ed è un qualche cosa che non è riproponibile in tanti posti all’interno della città. Forse per la bellezza, per il fascino e mi porto dietro questa emozione, sensazione, una cosa stupenda che auguro a chiunque, ossia quella di trovare un piccolo quartiere di Stampace dove aprire la propria bottega e portare avanti il proprio mestiere”.