La diffamazione su Facebook è reato: le denunce sono sempre in aumento

Secondo l’articolo 595 del codice penale, insultare sui social network può costare molto caro. Ecco cosa si rischia


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In tanti sono convinti che su Facebook ci si può sfogare liberamente. In effetti, non è assolutamente così. Infatti, uno “sfogo” diffamatorio pubblicato sul social network, magari esternato in un momento di rabbia, può ritorcersi contro il mittente infuriato. La diffamazione, infatti, è prevista dall’art. 595 del codice penale che afferma che «chiunque comunicando con più persone offende la reputazione altrui è punito con la reclusione fino ad un anno o con la sanzione fino a euro 1.032». In virtù del terzo comma dello stesso articolo di legge, la diffamazione “online” è una circostanza aggravante del reato, poiché viene realizzato tramite lo strumento di internet, da sempre considerato come “un mezzo pubblico”, in quanto idoneo e sufficiente a trasmettere, a più soggetti, un determinato messaggio diffamatorio. Pertanto, occorre sapere che un sito web, un blog, un forum, un social network sono considerati “mezzi di pubblicità“, perchè consentono la diffusione di testi, immagini e video ad una moltitudine di soggetti. Quindi, diffondere accuse attraverso Facebook equivale a commettere il reato di diffamazione aggravata. A stabilirlo è stato il tribunale di Livorno secondo cui insultare qualcuno sul social network equivale a farlo attraverso qualunque mezzo di stampa. Ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico nei reati di diffamazione, non è necessaria l’intenzione di offendere una determinata persona, ma basta la semplice volontà di utilizzare espressioni offensive con la consapevolezza di poter offendere. Questo tipo di atteggiamento psicologico, in sede istruttoria, sarà rilevato direttamente dalle frasi scritte e dal significato delle singole parole oggetto di diffamazione. Ma affinché il reato di diffamazione on-line si realizzi, è richiesta la presenza necessaria e contemporanea dei seguenti elementi: l’offesa alla reputazione di un soggetto determinato o determinabile; la comunicazione di tale messaggio a più persone; la volontà di usare specifiche espressioni offensive con la piena consapevolezza di offendere. In virtù di questi elementi la persona che subisce l’atto diffamatorio può denunciare attraverso la procura della Repubblica servendosi di un legale. Una sentenza del Tribunale di Monza, la n. 770 del 2 marzo 2010, aveva affermato che «ogni utente di social network (nel caso specifico “Facebook”) che sia destinatario di un messaggio lesivo della propria reputazione, dell’onore e del decoro, ha diritto al risarcimento del danno morale o non patrimoniale, ovviamente da porre a carico dell’autore del messaggio medesimo». Nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Monza un ragazzo aveva commentato, in modo altamente offensivo, alcune fotografie della sua ex ragazza, preventivamente pubblicate sul proprio profilo Facebook, denigrandola soprattutto a causa di un suo difetto fisico. Ebbene, i commenti in questione erano visibili a tutti e questo non fece che aumentare il carattere pubblico delle offese arrecate, facendo condannare il ragazzo, per la diffamazione consumata ai danni della sua ex, all’integrale risarcimento dei danni morali, sofferti dalla parte lesa, per un valore di ben € 15.000 oltre alla condanna integrale delle spese processuali.