“I titolari degli stabilimenti sardi sono vittime del Coronavirus, bisogna dargli più spazio in spiaggia”

L’appello dell’assessore regionale del Turismo Gianni Chessa: “I privati sono le vere vittime del Coronavirus: i sindaci, partendo da quello di Cagliari, devono aumentargli le concessioni, stiamo vivendo una situazione di emergenza ed eccezionale”. Siete d’accordo?


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Gli ombrelloni? Distanziati cinque metri l’uno dall’altro, con le cabine utilizzabili solo dalle famiglie e i lettini che, sicuramente, non saranno più l’uno attaccato all’altro. Con le nuove regole anti Coronavirus, i titolari di stabilimenti balneari e cooperative avranno meno spazio. E, di conseguenza, meno clienti. L’assessore regionale del Turismo, Gianni Chessa, cerca di lanciare loro un salvagente (per restare in tema) e fa un invito “a tutti i sindaci sardi, partendo da quello di Cagliari: devono aumentare le concessioni ai privati, loro sono le vittime delle restrizioni e faranno tutto in regola pur di poter riaprire. Bisogna dargli diritto ad avere più spazio, questa è un’occasione eccezionale”. Quindi, se due più due fa ancora quattro, chi ha già un certo tot di spazio su un’area demaniale, potrà “allargarsi” per cercare di recuperare i posti in meno legati all’emergenza pandemia: “Ma solo per quest’anno”, avvisa Chessa, “si tratterebbe di nome eccezionali da mantenere sino alla fine della pandemia”. Il messaggio ai primi cittadini è stato lanciato, adesso bisognerà attendere gli sviluppi.

Chessa è sicuro che, se i contagi continueranno a calare, per il periodo estivo sarà possibile allentare qualche vincolo, pensando anche ai possibili vacanzieri: “Dovranno arrivare sani e ripartire sani, saremo un’Isola sicura, Covid Free, rispetteremo le prescrizioni. Stiamo riaprendo grazie al senso di responsabilità dei sardi. Ci vuole ancora pazienza, giorno dopo giorno le restrizioni saranno allentante, puntiamo a far sì che tutti i cittadini possano uscire di casa e trascorrere la loro giornata al mare. La vacanza, anche quella di un giorno, non deve diventare una penitenza o una prigione”.


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