
La storia di un bambino discriminato, reduce da un’infanzia difficile. La storia di Gianluca (nome di fantasia che utilizziamo per tutelare la privacy di tutti i protagonisti) raccontata dalla sua educatrice, che con le lacrime agli occhi parla di un episodio triste e agghiacciante avvenuto nell’area vasta di Cagliari. “Spero che queste due righe che ho scritto, spinta dalla rabbia e dallo sconforto, possano essere pubblicate per dar voce ai più deboli, per combattere la discriminazione, per provare a sensibilizzare la popolazione… Perché nel 2014 esistono ancora storie come questa: “Questa é una storia triste. C’era una volta un piccolo bambino, biondo, occhioni azzurri come il mare. Partorito e lasciato in ospedale, senza il calore materno, senza l’amore di una mamma e un papà. Ad un anno portato in un orfanotrofio vecchio, freddo, solo patate e acqua, solo il calore di un accendino, nessun gioco. Parla a stento lui, si muove appena… Viene salvato all’età di tre anni da due meravigliosi mamma e papà. Lo curano, lo nutrono, gli regalano tutto l’amore possibile. Colmano quell’immensa voragine affettiva che per tre anni ha subito. Ora ha una casa calda e accogliente, giochi e cibo in abbondanza. É bellissimo, affettuoso e intelligente, e vive nel suo fantastico mondo di fantasie e giochi solitari e quasi nessuno capisce i suoi strani e fantasiosi ragionamenti… Alla lunga i suoi coetanei pensano sia pazzo, malato… Gli stanno lontano, lo deridono e gli tirano le pietre. Ha pochi amici lui, veri intendo, immaginari tanti invece, quelli non lo tradiscono mai! Quelli veri invece sono quasi tutti adulti, in grado di amarlo e rispettarlo per quello che lui è, per quello che lui dà. Io sono una delle sue più care amiche, e lui è per me uno degli amici più fedeli che ho, é sincero e speciale. Piange ogni giorno lui. Si sente solo, emarginato, trattato male dai suoi compagni. Vorrei poterlo sollevare da tutto questo dolore che prova, perché credo che la vita sia già stata sufficientemente crudele con lui. Vorrei poter prendere con le mani un mucchio di adolescenti divertenti e gioiosi e regalarglieli. Vorrei potergli dare amici in grado di capire cosa sia l’autismo. Ci ho provato a farlo in tanti anni, ma la mentalità ristretta e ignorante di un piccolo paese, non permette di sensibilizzare a tal punto né le famiglie né i figli che ci abitano. E quindi io sto qui impotente e agghiacciata da questa storia, che purtroppo non è una brutta favola, ma è la realtà”.”