Droga e auto rubate nei campi Rom: “Zedda, e l’inclusione sociale?”

Esplode l’emergenza stranieri a Cagliari. Dopo le polemiche sui migranti, i furti dei Rom diventano un problema di Città Metropolitana. L’opposizione: “Il centrosinistra 4 anni fa ci spacciava il mito dell’inclusione sociale. Per coesistere serve invece il rispetto delle regole” (Nella foto dei carabinieri gli oggetti rubati ai cagliaritani trovati oggi al campo Rom)


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Diciamolo chiaro, senza timore di smentita: esiste un grave problema di ordine pubblico legato alla presenza degli stranieri a Cagliari e hinterland, e per affermarlo non si deve essere nè di destra nè di sinistra. Parlano da sole le operazioni compiute in questi giorni da Polizia e carabinieri: prima lo sgombero di piazza Matteotti invasa dai migranti, poi le perquisizioni nei campi Rom dove è spuntato oggi un vero e proprio tesoro di oggetti rubati ai cagliaritani,  e persino una serra di marjiuana. Terra di nessuno insomma, ed è un problema di Città Metropolitana: Selargius non è distante da Cagliari, l’integrazione è purtroppo ancora un miraggio. 

La polemica impazza anche sul fronte politico. La Giunta Zedda, e in particolare chi ha gestito le Politiche Sociali negli ultimi anni (ad esempio l’assessore Luigi Minerba) aveva promesso risultati importanti nel campo della cosiddetta inclusione sociale. Invece i cittadini lamentano la presenza di campi Rom abusivi spuntati accanto a quelli smantellati dopo che, per anni, associazioni scelte dal Comune avevano gestito in maniera caotica anche la pulizia. Oggi è Pierluigi Mannino, consigliere di #Cagliari16, a mettere il dito sulla piaga: “Era il 2012 e ci spacciavano in Comune il mito dell’inclusione sociale- attacca Mannino-  non ho cambiato idea, continuo a pensarla nello stesso modo. E i fatti, mi pare, mi stanno dando ragione. Non ho mai creduto al progetto dell’inclusione sociale tanto caro alla maggioranza cittadina. Credo nella coesistenza e il modo migliore per garantirla (a prescindere da razze ed entie) sia uno solo: il rispetto delle stesse regole. Il resto è fuffa buonista, in stile Capalbio”. 

Per il resto Mannino pubblica anche un suo intervento in aula che è del 2012, ma sembra attuale: “Se trovate il giusto equilibrio fra due culture diverse, a volte potete ottenere il meglio da entrambe, afferma Randy Pausch.

Ottenere il meglio da entrambe dovrebbe essere l’obiettivo e il giusto equilibrio non significa, necessariamente, inclusione dell’una nell’altra ma semplicemente tolleranza reciproca e rispetto. Rispetto degli uni verso gli altri e rispetto per i beni avuti in consegna. Già, ricordate il campo messo a disposizione dei nomadi dall’amministrazione cittadina? Un campo attrezzato, pulito e in ordine. Ciò che resta di quel campo è a tutti noto. Una cosa è certa, non sono di certo stato io a farne una bomba ecologica!
Ma torniamo al mito dell’inclusione sociale. Questa chimera dell’inclusione sociale non é altro che l’ennesima trovata dei burocrati europei, gli stessi che studiano le misure di banane e pomodori, che dall’alto della loro presunzione intendono codificare e burocratizzare tutti gli aspetti dell’umana realtà. La loro incapacità di comprendere le diversità li porta a elaborare teorie sociali che prescindono dalla realtà. Chi ha la cultura del Clan non accetta un’impostazione di vita diversa e le lamentele degli stessi Rom lo confermano. E’ possibile che alcuni componenti di una comunità decidano di abbracciare la cultura della comunità ospitante e quindi decidano di ricercare l’integrazione con la stessa. Questi individui lavoreranno per sentirsi parte di questa nuova comunità ed abbandoneranno usi e costumi di quella di provenienza. Pretendere che il processo di inclusione riguardi un’intera comunità è una mera follia, come la storia insegna, un disegno figlio della presunzione.
Questo atteggiamento presuntuoso e spocchioso trova facile sponda in quella parte politica che, forse per sentirsi meglio con la propria coscienza, ritiene doveroso occuparsi degli ultimi purché siano, ovviamente, stranieri o d’importazione. Ma qui mi fermo per non offrire il fianco ai benpensanti sempre facili e propensi ad individuare, in chi non la pensa allo stesso modo, il nemico razzista e xenofobo. Vi assicuro che lungi da me l’idea xenofoba e razzista. A questi e a tutti noi faccio solo un invito alla riflessione, una riflessione fondamentale per ricercare equilibrio tra le due culture e tolleranza tra le stesse. Una riflessione che deve necessariamente partire da una domanda. Una domanda facile, facile alla quale è necessario dare una risposta per comprendere e garantire a tutti parità di trattamento. La domanda è: come si mantengono i rom? Come si procurano da vivere? Da dove traggono il loro sostentamento? E, soprattutto, qual è la loro Cultura, i loro usi e costumi, la loro peculiarità da tutelare e difendere? Ci vogliamo limitare ai formalismi provenienti dall’Europa (raccomandazioni, risoluzioni…) o vogliamo partire dall’esame concreto della realtà? Buona riflessione!

Ancora, credo che sia buona regola per l’ospite rispettare usi, costumi e norme della comunità ospitante e non viceversa. Questo atteggiamento dovrebbe essere il principio cardine della tolleranza tra culture diverse, il resto è solo imporre tolleranza alla comunità ospitante verso l’ospite. Non mi sembra che sia rispettato il principio della reciprocità. Come negli affari, l’affare si fa in due e quando lo fa uno solo non è più un affare.
Poi sarebbe il caso di definire e quindi capire se le popolazioni in questione debbano ancora definirsi nomadi o meno. Non credo visto che ormai li contraddistingue la stanzialità e visti gli intendimenti dell’Unione Europea (Raccomandazione del 2002 n.1557 sulla situazione giuridica dei rom in Europa Raccomandazione n. 563 (1969), relativa alla “situazione degli Zingari e altri nomadi in tutta Europa”, che invita a fornire non solo terreni attrezzati per i nomadi, con fabbricati comunitari per l’istruzione, ma anche insediamenti stabili per chi li richiedesse). Quindi, per concludere, è certamente bene affrontare il problema Zingari ma va fatto con un’ottica diversa e con un esame a 360 gradi, senza pregiudizi verso gli stessi e verso coloro che non la pensano allo stesso modo. Tenendo ben presente, ovviamente, il principio della legalità che deve valere per tutti al di là di colori, etnie e origini!”. 


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