
Antonello Spissu non era soltanto uno dei migliori ristoratori di sempre della cucina cagliaritana: era una festa. “Gli antipastini li gradite si, ve li mando?”, e giù 30 piatti tra orziadas, polpi, ricci, gianchetti, tonno fresco, salmone marinato, funghi trifolati, bocconi, lumache al sugo, burrida squisita, monachelle, scabecciu. Ti accoglieva col sorriso ed era sempre di buonumore, mai una parola fuori posto: “Il frittino vi è arrivato, si? Mi raccomando non uscite a fumare quando arrivano gli spaghetti caldi alle orziadas: altrimenti perdono l’aroma, e vince la Lazio”. Era solo una delle fulminanti battute di un vero e proprio artista poliedrico del cibo e della tavola, che ti teneva compagnia solo col suo sorriso. Quale cagliaritano non ha festeggiato almeno un compleanno, una laurea, un fidanzamento nei suoi Quattro Mori di via Angioy e poi nel Corso? “Da molto che non vieni, ti ho segnato l’assenza”, e rideva, rideva sempre, ti contagiava con quell’aria sorniona da oste d’altri tempi. Con lui il tempo sembrava fermarsi: fuori ad aspettare il proprio turno decine di persone nella notte, Antonello amava il suo ristorante insieme alla moglie Patrizia e ai figli come niente al mondo. E non è un caso che un ictus e il Covid se lo siano portati via quando il suo sogno è finito, la chiusura di uno dei leggendari ristoranti in Sardegna proprio all’inizio del lockdown. Quando passava intere serate a ricordare i tempi d’oro: amava i suoi clienti, letteralmente li adorava. Erano la sua vita, e con loro è sempre stato onesto. Un giorno a Ferragosto si giustificava con i turisti che aspettavano da un’ora pur di mangiare da lui: “Calma, c’è posto per tutti: non posso dire ai miei clienti…Lazzaro, alzati e cammina”. Col suo intercalare “prego, signori” che preludeva sempre a un piatto caldo fumante. C’erano giorni che, tra peperoncini ripieni e cardi, gli antipasti arrivano addirittura a 40 porzioni, quindi si faceva a gara a “stendere” anche gli amici più golosi. Aveva sofferto Antonello, ma sapeva soffrire, cadere e rialzarsi sempre. Raccontava sempre di quelle sere con Carla Fracci o la Cucinotta nel suo locale dove sono passati anche tantissimi calciatori e cantanti famosi. Aveva appena 62 anni, ci lascia davvero troppo, troppo presto.
Le coppie in crisi che andavano da lui e dicevano: “Antonello, ci stiamo per lasciare”. “Si, però prima mangiate, adesso vedete cosa vi porto”, chissà quanti amori ha salvato con quegli antipastini irresistibili o con un astice piazzato lì d’urgenza. Alla fine degli anni 90, ogni domenica sul bancone metteva trenta aragoste e riusciva a venderle tutte, erano ancora i tempi prima dell’euro, lui diceva “eh allora si, che girava la moneta…”. Si avvicinava a ogni tavolo e con aria tenera chiedeva: “Vi state divertendo, si?….”. Certo non era un dietologo, dopo decine di antipasti, due primi e un secondo ordinato scherzava e riusciva a chiederti: “La vuole una sogliola, mentre aspetta l’orata?”. E qualcuno ci è cascato davvero. Tanto poi c’era sempre il mirto finale con la fogliolina ghiacciata dentro.
Antonello era Antonello. Aveva rilevato i 4 Mori dal socio Fiorenzo, con lui lavorava il nipote Mirko, la moglie, i figli Christian e Alessio che lui amava. Nei suoi tavoli almeno tre generazioni di cagliaritani. Quando un gruppetto di anziani arrivava in ristorante a mezzanotte, e nessuno li avrebbe fatti mangiare a quell’ora, lui li accoglieva così: “Prego signori, accomodatevi: siete in perfetto orario…”. Erano battute dissacranti, qualsiasi cosa accadesse. “Non avete prenotato? Allora per voi c’è posto”, era nato per quel mestiere sin dai tempi del primo locale in viale Diaz. Le tante partite guardate insieme, il suo amore sviscerato per il Cagliari, le sue origini di Siurgus Donigala, paese che portava sempre nel cuore. Le zuppe di pesce, le bavette allo scoglio, la sogliola alla parmigiana, ma soprattutto la passione che ci metteva con cuochi e collaboratori: per lui era come scendere in campo, ogni giorno, da zero a zero, con la cultura di un lavoro che poi gli hanno portato via. “Una birra ce la beviamo sì, ma solo a fine servizio”. Quanti Capodanni festeggiati con la sua allegria, nel ristorante aperto anche agli amici a 4 zampe. Era come un portafortuna, cominciare l’anno brindando con la sua trascinante ironia.
I familiari raccontano che si stava riprendendo, dopo l’ictus, era stato trasferito alla clinica San Salvatore. Poi nelle scorse ore fatale una crisi respiratoria, inutile la corsa sfrenata in ambulanza al Policlinico.
Oggi tra i tanti anche il commovente ricordo del figlio Christian: “Mi hai sempre detto forza e coraggio !! Si risolverà… dormivi in ristorante per non perdere una prenotazione, andavi al mercato la mattina per far trovare sempre il pesce migliore , hai portato avanti un nome che rimarrà nella storia dei ristoranti di Cagliari 4 mori ti sei sempre fatto in quattro per noi , non smetterò mai di ringraziarti per come ci hai cresciuto, ci hai trasmesso sempre la tua grande forza, lavora sodo si gentile e cordiale! Cerca di avere pazienza . Il giorno che sei entrato in ospedale dopo circa qualche mese di pensione ci siamo visti e ti ho detto con tutto il tempo che avevi per riposare proprio quando stai per andare in pensione
e tu che mi guardi e ridi
mi mancheranno le tue battute bambe il tuo russare
e il tuo sorriso
ti prometto una cosa , penserò io a mamma e Andre!! Guardaci e proteggici
ti voglio bene papà”.
Ti volevamo davvero tutti tanto bene, Antonello. Digerire adesso la tua perdita sarà impossibile. Eri una festa. Che però, quella si, non terminerà mai.