“Noi, censurati a Cagliari per quel manifesto: ipocrisia e violenza nella pubblica morale”

La polemica sui manifesti teatrali censurati a Cagliari. Andrea Ibba: ” Preti e bambini non circolano forse per tutta la città? E soprattutto cosa dovrebbe offenderli in questo manifesto? Una foto artistica in cui non c’è nessuna nudità, nessun insulto, nessuna parolaccia, nessun reale simbolo riconducibile alla cristianità..”


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di Andrea Monni

Senza alcun aiuto finanziario, senza alcun contributo, con soldi delle nostre tasche guadagnati con lavoro quotidiano e dedizione abbiamo pagato l’affissione del manifesto per il nostro spettacolo. Abbiamo pagato, come da regolamento abbiamo sottoposto la bozza del manifesto nei tempi utili richiesti. La bozza non è stata contestata, né immagine né testo. Il primo giorno i manifesti non vengono affissi, chiamiamo per avere informazioni, tergiversano, ci rimandano, ci richiameranno “forse”. Secondo giorno: non abbiamo notizie, chiamiamo, più volte, alla fine ci viene detto che il manifesto non è stato affisso.

Perché? Non è adatto. Perché? Non lo abbiamo ritenuto adatto. Perché? Perché non è adatto. Decidiamo di passare in ufficio. Le spiegazioni non sono molte di più: ci viene detto che “Chiaramente, oggettivamente non va bene”. Perché? Perché non va bene. Chiediamo spiegazione più volte, nessuna spiegazione se non che vicino a scuole e chiese questo manifesto non può essere affisso. Nel pomeriggio veniamo richiamati, ci ripensano, ci concedono una zona in più, va bene in via Cadello, va bene in via Is Guadazzonis, ma non in via Bacaredda “il conservatorio è troppo vicino…” Preti e bambini non circolano forse per tutta la città? E soprattutto cosa dovrebbe offenderli in questo manifesto? Una foto artistica in cui non c’è nessuna nudità, nessun insulto, nessuna parolaccia, nessun reale simbolo riconducibile alla cristianità (nessuna croce di legno, nessuna corona di spine, e se anche volessimo fare un remake di Jesus Christ Superstar esattamente il problema qual è?).

Alcuni possono provare anche a sminuire l’accaduto, alcuni possono provare a strumentalizzare la cosa o buttarla sul facile “tutto marketing, si fanno pubblicità” noi la pubblicità avremmo voluto farla (come sempre l’abbiamo fatta) seguendo le regole, ricevendo il servizio che abbiamo pagato come cittadini e artisti comuni. Invece un signor ignoto, un’entità o secondo l’Ufficio Stampa del Comune “il comune stesso” (ma davvero l’apertissima Amministrazione Zedda che abbiamo sostenuto?) decide che il nostro manifesto offende la pubblica morale, o almeno, non la offende nelle zone centrali della città, perché nelle zone periferiche possono tollerare i nostri manifesti. Il centro città ha una pubblica morale differente dalla periferia? Di fronte a tanta ipocrisia e violenza ancora esistono aree teatrali che si offrono alla città come spazi o selve di resistenza poetica in assoluta utopia. Ci sono persone che popolano questi edifici che desiderano condividere giorni e chilometri di libertà. Perché in questa città appestata di profumo, organizzazioni apertamente fasciste indicono conferenze nei centri di cultura, cartelloni di qualsiasi tipo esibiscono messaggi indegni e prodotti elettorali di dubbia costituzionalità come pornografia di cattivo gusto e noi dobbiamo cancellare un’azione poetica?

Noi non intendiamo più chinare la testa davanti a questi atti di inequivocabile e arbitraria prepotenza. Da lavoratori dello spettacolo e da persone comuni veniamo discriminati da istituzioni che dovrebbero essere laiche e preservatrici della libertà di opinione e di espressione. Non si tratta più della pubblicità per uno spettacolo, si tratta del diritto di rappresentare che ora viene negato a me, domani viene negato a te. Ma tanto più il Comune girerà la testa dall’altra parte, tanto noi eleveremo le nostre voci. Tanto più ci insulteranno e derideranno per i nostri mezzi, tanto noi ci prenderemo per mano e diffonderemo atti di amore, di libertà estetica, artistica, etica e politica. Soprattutto non riteniamo di essere soli. Mai.


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