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“Colpa anche dell’arrivo degli immigrati clandestini e della nuova manovalanza dello spaccio”. Secondo Paolo Truzzu, consigliere regionale Fdi ci sono anche i flussi migratori irregolari dietro la crescita della produzione e dello spaccio di droga a Cagliari, al primo posto in Italia (secondo uno studio pubblicato sul Sole 24 Ore) per reati legati al traffico degli stupefacenti.
“Siamo stati i primi a lanciare l’allarme sull’aumento dei reati legati allo spaccio di droga e alla microcriminalità a Cagliari”, denuncia Truzzu, “non era una paura solo percepita come ci accusavano da sinistra, ma un problema reale. A essere interessate non erano più le periferie, ma anche il centro città e l’arrivo di immigrati clandestini e nuova manovalanza dello spaccio è sicuramente uno dei motivi che hanno portato il capoluogo a questo triste primato. Chi ha tollerato ciò voltandosi dall’altra parte per questioni ideologiche, dalla Regione al Comune, dovrebbe porsi ora delle domande. Sicuramente”, conclude, “non può pensare di essere la soluzione per invertire la rotta”.
“Da cittadino e da padre rabbrividisco per questi dati”, commenta Piergiorgio Massidda, consigliere comunale #Cagliari16, “e sono ancora più amareggiato perché più di una volta abbiamo denunciato questa situazione in consiglio comunale che noi e tanti cittadini avvertivamo, ma tutti la sottovalutavano accusandoci di strumentalizzazione. Non mi sembra giusto attribuire a qualcuno le responsabilità, ma ai tanti sbandati che ci sono in città cosa resta se non lo spaccio? Basta vedere che cosa accade in piazza del Carmine. Ricordo”, conclude, “che la lotta allo spaccio non può avere colore politico”.
Cagliari al secondo posto per le denunce sulle violenze sessuali. “Non mi sorprende”, commenta Alessandra Zedda, consigliera regionale Fi, “anche perché la globalizzazione e l’introduzione nel paese di culture che sviluppano questo modo di trattare le donne con poco rispetto hanno intensificato questo genere di delitti. Serve una duplice azione: in primis attraverso insegnamento dell’educazione affettiva e al rispetto che deve partire da scuola dell’infanzia e attraverso una rete scuola-famiglia con progetti scolastici mirati. Servono poi”, aggiunge, “azioni di supporto e un reddito di libertà, assistenza di carattere legale e da parte dei servizi sociali degli enti locali da mettere in rete coi centri antiviolenza”.