Vittorio Sanna: “Tutti insieme contro l’estinzione della radiocronaca”

Intervista al giornalista più amato dai tifosi rossoblù: “Insieme a loro combatto questa battaglia per la voce dei sardi”


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di Roberto Scalas

I tifosi rosso-blù, oltre a dover rinunciare allo stadio, fino ad ora stanno facendo a meno della tanto amata radiocronaca e della voce che entrata nelle case dei sardi da moltissimi anni: quella di Vittorio Sanna.

Vittorio, fresco del premio Fabio Maria Crivelli come miglior giornalista radiofonico, si è reso disponibile ad un’intervista parlando della mancata trasmissione delle radiocronache in questo avvio di stagione, della vicenda stadio e sulla rosa rosso-blù di quest’anno.

 

In questi giorni hai ricevuto il premio come miglior giornalista radiofonico intitolato a Fabio Maria Crivelli, grande figura del giornalismo italiano. Quanto ti rende orgoglioso questo riconoscimento?

 

Tantissimo. La figura di Fabio Maria Crivelli è una figura storica, che è stata capace di far crescere tutto il giornalismo sardo e si distingue perché ha sempre avuto come primo riferimento i lettori dell’Unione Sarda, tanto da dimettersi quando non ha condiviso la linea editoriale. Nel nostro mestiere, per rispetto della passione e del lavoro che svolgi, se vuoi della stessa efficacia di ciò che fai, devi sapere dire di NO. Fabio Maria Crivelli lo ha fatto. Ma d’altronde, anni prima lo aveva fatto da soldato, rifiutando di passare alla Repubblica di Salò e conoscendo anche la vita dei lager.

 

Questo riconoscimento è arrivato anche grazie alle tue radiocronache. Il campionato è iniziato da poche settimane e le partite del Cagliari e, soprattutto i tifosi, sono orfani della tua voce. Quanto ti amareggia non poter far compagnia ai tantissimi fan rosso-blù?

 

Mi amareggia e mi scandalizza. Mi amareggia perché amo il mio lavoro che è prima di tutto una grande passione. Mi scandalizza perché la radiocronaca del Cagliari delle emittenti private è l’unica voce che da 37 anni a questa parte porta le gesta rossoblù ai più deboli, ipovedenti, carcerati, persone che lavorano, chi sta in auto, persone che non possono permettersi stadio o pay tv. Per questi l’unica immagine del Cagliari è attraverso la radio. Poi è una voce che difende uno dei simboli più amati della Sardegna. Non fare la radiocronaca significa consegnare anche questo pezzo di storia, per quando banale, agli italiani che sappiamo come trattano la nostra storia, da dominatori. Ci trattano da stranieri. Basti vedere gli spazi e i commenti riservati al Cagliari nei network nazionali.

 

I sardi sono ormai abituati da decenni alla radiocronaca della partita e, nonostante l’avvento della televisione, è un mezzo di comunicazione ancora seguitissimo. In molti mettono il muto in tv per seguire la partita con il tuo racconto. Quanto si perde sotto il profilo culturale e sociale?

 

È la voce dei sardi. Non è solo questione di abitudine. Chi nell’ultimo periodo abbassava l’audio di Sky per ascoltare la radiocronaca è perché aveva scelto a chi consegnare i suoi sogni, le sue emozioni. Voleva sentire qualcuno che parlasse per loro, che li difendesse dai soprusi, che avviasse una sorta di rivoluzione culturale in cui i Sardi non venissero maltrattati. Sul piano culturale è rinunciare ad un altro pezzo della nostra identità e della voglia di essere protagonisti della nostra quotidianità. Sul piano sociale, ribadisco, è sottrarre ad una grossa fetta di Sardi l’immagine della propria squadra. Per ultimo vorrei anche dire che il folklore della radiocronaca è anche un mezzo promozionale per il Cagliari: non mi sono ancora abituato ma, sono tantissimi i bambini che tifano Cagliari anche perché attratti dal mio infantile goooolllllllll.

 

Ora la radiocronaca e, da ormai due anni, la vicenda stadio. Un momento veramente difficile per i sostenitori del Cagliari. Che idea ti sei fatto di tutte le vicissitudini legate allo stadio?

 

E’ difficile farsi un’idea chiara. L’unica evidente è che ai Sardi è stato tolto anche questo. Abbiamo spesso assistito alla consegna della nostra terra ad imprenditori d’oltremare per i quali abbiamo modificato gli strumenti urbanistici, abbattuto i vincoli e permesso di strutturare come meglio credevano i loro progetti. Forse si poteva fare qualcosa, con molte meno concessioni e con molti meno vincoli abbattuti per facilitare la costruzione dello stadio, vedendo in ciò anche tutti gli aspetti sociali e promozionali e non esclusivamente gli interessi imprenditoriali di Cellino. Chiaro, con tutte le dovute cautele e moderazioni. Le stesse che vorrei vedere quando portiamo addirittura i possibili occupanti e gli paghiamo la vacanza perché ci possano occupare la terra.

Dal tuo punto di vista, meglio ripristinare il Sant’Elia o era il caso di insistere con Is Arenas?

 

Secondo me le due cose potevano essere complementari. L’utilizzo di Is Arenas, come da programmi, doveva dare il tempo di intervenire per un progetto serio e duraturo che riguardasse il Sant’Elia. Il dualismo tra le due strutture ha creato non pochi problemi. È diventato concorrenziale ed esclusivo. A mio giudizio era più ragionevole e semplice proseguire con Is Arenas se però chi di dovere, anche la Regione, fosse stata disposta ad essere semplice e ragionevole. La situazione si poteva trovare. Invece, è diventata quasi una crociata contro Is Arenas e ora vediamo cosa ci riserva il ritorno sulla via della Gerusalemme liberata del Sant’Elia.

 

In tutta Europa hanno seguito il modello inglese, mentre in Italia abbiamo ancora degli impianti fatiscenti che hanno l’agibilità per miracolo. Secondo te, gli stadi di proprietà sono la soluzione al problema?

 

Gli stadi di proprietà sono già funzionali alle società per azioni del calcio e lo saranno ancor di più in futuro. Se non stadi di proprietà, si dovranno avere stadi in concessione pluridecennale attraverso i quali sviluppare dei progetti che permettano la gestione diretta della propria imprenditoria. L’Italia si distingue negativamente anche in questo caso ed essere italiani (un po’ come i commenti di parte) non ci affranca assolutamente come Sardi.

 

Passando al calcio giocato, come giudichi la squadra di quest’anno e l’operato nella sessione di mercato?

 

Ottima, anche se con handicap che va verificato. Il primo handicap è lo stadio: se si dovesse tardare con il Sant’Elia non sarà facile giocare tante gare in trasferta; il secondo è il disturbo che esercita l’informazione di stampo coloniale che guarda al Cagliari quasi esclusivamente come il market dei calciatori che, essendo giovani, possono essere attratti dalle false chimere. Come vedi si ritorna sempre a bomba sui temi di stretta attualità. Dovendo fare le pulci ci sono due incognite tecniche, una relativa al difensore di destra finché non recupera Pisano e l’altra sul valore della seconda punta Ibraimi, fondamentale perché il Cagliari possa giocare anche con il tridente.

 

Credi che questo organico possa realmente ambire a qualcosa in più rispetto alla salvezza?

 

Ha dimostrato di avere numeri e gioco per riuscirvi. Ma il calcio non è una scienza esatta e vive delle fatiche di uomini che, in quanto tali, non sono sempre prevedibili e sono soggetti a variabili incontrollabili.

 

Tornando al discorso della radiocronaca, ci sono speranze per i tifosi di risentire il tuo “goooooolllll” a breve?

 

Credo di sì. Intanto farò di tutto per non farlo morire e tenerlo vivo e attuale. Ma spero di poterlo fare in cronaca diretta. Non posso per ora dire di più.

 

In merito a questa vicenda, ti vuoi togliere qualche sassolino dalle scarpe?

 

Anche se molti tentano di tenere tutto sotto silenzio, il sassolino lo ha già tolto il grande affetto e il grande sostegno dei tifosi e degli appassionati che sta abbattendo il tentato muro di omertà atto a sminuire il valore della radiocronaca e il suo grande significato che va aldilà della semplice pianificazione comunicativa. Non rinunciare concettualmente alla radiocronaca, difenderla dalla sua estinzione, richiederla a gran voce mi evita anche l’antipatico levare le scarpe per cercare sassolini. Credo che solo se si è in malafede, dopo tutta questa mobilitazione, si possa continuare a dire che la radiocronaca ha poco valore per la Sardegna. Seconde me è diventata ancor più il simbolo della voglia di non rinunciare a tutto quel che è SARDO.

Vuoi aggiungere qualcosa o esprimere un tuo pensiero personale?

Sono nato nella radio e le emittenti private hanno portato una voce di libertà. Ringrazio voi operatori del web, che state ricalcando da questo punto di vista quel modo di far arrivare alla gente la verità. C’è tanto da fare per affinare il servizio ma è indiscutibile che sta cambiando l’informazione.

 

Roberto Scalas