Ha visto la morte in faccia in quel mare che conosce meglio delle sue tasche, il vasto golfo di Teulada incastonato tra Capo Spartivento e Capo Malfatano. Lui, Antonino Cassisa, 70 anni, una vita trascorsa in mare, “prime pescate con mio papà quando avevo nove anni”, ha trascorso tre ore aggrappato a una tanica di plastica a un miglio e mezzo dalla costa, nell’immenso sconfinato e, purtroppo, deserto blu. Tutto è successo sabato mattina, quando il chiattino di poco più di sei metri guidato da Cassisa, impegnato nella pesca con la nassa, si è ribaltato e molto presto inabissato. Lui è riuscito a trovare un appiglio, definibile sicuro però solo se nel giro di pochi minuti ritorni a bordo, al sicuro, di un’altra imbarcazione. Lui, invece, ha resistito centottanta minuti, forse anche qualcosa in più, “bevendo e sputando acqua di mare quasi di continuo e sperando che qualche imbarcazione passasse da quelle parti”. Ha avuto sicuramente tempo, tra un tentativo di restare a galla e un altro, di ricordarsi la sua lunga carriera da pescatore: “Ho iniziato coi tremagli per, poi, passare alla pesca a strascico sino ad avere un peschereccio di trenta metri specializzato nella pesca di gamberi che, una volta congelati, riuscivo a vendere persino in Spagna. Ho avuto una vita molto combattuta e travagliata”. A casa, ogni santo giorno, ad attendere che rincasasse c’erano la moglie e i suoi quattro figli: uno ha scelto di seguire le sue orme, l’altro e le due figlie femmine si sono specializzati invece in altri settori.
All’improvviso, verso le 14, ecco comparire ancora un po’ distante l’India, l’imbarcazione di Antonello Ciabatti, Cristian “Kiki” Busu e Eleonora Altea. Erano impegnati nella Teuladata, la regata da Cagliari a Teulada: “Ho capito subito, vista la zona del mare, che mi sarebbero passati vicino e allora ho iniziato a gridare per attirare la loro attenzione”. Missione riuscita: Antonino è stato portato a bordo e, successivamente, al porto di Teulada, dove è stato affidato alle cure del 118: “C’è poco da dire, stavo davvero per morire e se non fosse arrivata la barca di Antonello e degli altri ragazzi oggi non sarei qui a raccontare ciò che mi è capitato”. Non si sente tradito dal mare, il “lupo di mare” settantenne: “Un imprevisto può capitare. Di sicuro non piango per il barchino affondato, meglio che non ci sia più lui ma che ci sia io”, dice, ridendo, Cassisa. “Presto tornerò ad andare per mare, ho a disposizione anche la barca del mio figlio che, come me, ha voluto fare il pescatore”. E, di sicuro, all’orizzonte c’è anche un incontro-rimpatriata con i suoi angeli salvatori marini: “Li inconterò nuovamente e li ringrazierò uno per uno. Infatti, ogni componente della loro barca ha avuto un ruolo fondamentale nel salvarmi la vita. Dal timoniere a tutto il resto dell’equipaggio, incluse le due ragazze, Eleonora e Elena, che mi hanno rianimato con dei massaggi quanto mai salvavita”.