L’ammissione è netta e, per certi versi, ha del clamoroso: “Nel carcere di Uta ci sono tante criticità. Molti detenuti hanno gravi problematiche psicosociali, molto spesso sono malati psichiatrici o tossicodipendenti in doppia diagnosi”. A dirlo è il direttore della struttura penitenziaria, Marco Poru: “Il contesto è molto sofferente, difficile”. E certe malattie o problematiche non possono essere combattute dietro le sbarre: “Si tratta di persone che, più che punite, dovrebbero essere curate”. Non certo nella casa circondariale intitolata ad Ettore Scalas, quindi: “I nostri strumenti non hanno una funzione curativa, ma trattamentale”, ammette Porcu. Da qui le notizie, spesso rimbalzate all’esterno grazie ai sindacati degli agenti penitenziari, di risse e pestaggi che vedono coinvolti, purtroppo, tanto i detenuti quanto i poliziotti. “Ci sono detenuti che non possono capire il valore di una sanzione punitiva. Ogni giorno il personale gestisce intemperanze, poi io in seconda battuta cerco di mediare i conflitti, ma è un lavoro immane. Dev’essere ripensata la struttura della pena nei confronti dei detenuti psichiatrici, il carcere non è il luogo adatto. Qui sono almeno il 60%”. Cioè la maggioranza, è non è mica poco.
“Ci sono anche persone con patologie legate ai disturbi, gravi, della personalità”. E le escandescenze sono all’ordine del giorno, o quasi. In tutto questo caos, Porcu e il suo staff fanno quello che possono. “Ma servono strutture alternative al carcere”, rimarca. Intanto, accanto alla sezione femminile, è in fase di completamento la struttura dedicata al 41 bis. Carcere duro, novantadue posti per delinquenti che devono essere osservati 24 ore su 24, come mafiosi o stragisti: “C’è stato qualche intoppo nei lavori, affidati al ministero delle Infrastrutture”. Presto, però, dovrebbe essere tutto terminato. E i detenuti, almeno la parte di uomini e donne che stanno scontando il proprio debito con la giustizia e che non soffrono di problemi psichici, trascorrono le giornate facendo attività che li portano ad “evadere”, solo mentalmente, da Uta: “C’è chi rigenera i router nel laboratorio di Tiscali, chi lava le divise dei pompieri in una lavanderia industriale, chi si occupa di fare manutenzioni al fabbricato. Sono queste le attività che facciamo svolgere”. Che, però, non sono alla portata di tutti, visto che la maggior parte di chi si trova dietro le sbarre, a Uta, vive un calvario doppio: pena e malattia.