Si riaprono dopo mesi di silenzio dibattito e procedure per decidere dove sarà realizzato il deposito nazionale delle scorie nucleari dalla Sogin. Un tema rovente, esploso a gennaio scorso, che interessa anche, anzi soprattutto, la Sardegna, dove sono stati individuati 14 siti potenzialmente idonei a essere trasformati nella pattumiera dei rifiuti nucleari, più che in qualunque altra regione. Un’ipotesi che resta remota, viste le proteste bipartisan della politica e il fuoco di sbarramento dei comuni, ma assolutamente non tramontata. Ieri, la questione si è riaperta con un seminario sul web, nei prossimi giorni ci saranno le consultazioni con regioni ed enti locali, 67 aree in tutta Italia. Le consultazioni si concluderanno il 24 novembre e il 15 dicembre verranno pubblicati gli atti finali. A quel punto, documenti e relazioni alla mano, sarà il governo a dire l’ultima parola. Il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi accoglierà 95000 metri cubi di materiale: 78.000 metri cubi a molto bassa o bassa attività, e 17.000 metri cubi a media e alta attività, in un’area di 150 ettari. La costruzione dell’impianto costerà 900 milioni e durerà 4 anni. Il cantiere occuperà 4000 persone, 700 a regime, e l’impianto riceverà rifiuti per 40 anni. In Sardegna i comuni direttamente interessati sono Mandas, Siurgus Donigala, Nurri, Albagiara, Assolo, Mogorella, Siapiccia, Usellus, Villa Sant’Antonio, Genuri, Gergei, Guasila, Las Plassas, Nuragus, Ortacesus, Pauli Arbarei, Segariu, Setzu, Tuili, Turri, Ussaramanna e Villamar.
La viceministra dello Sviluppo Economico, Alessandra Todde, unica esponente sarda nel governo, ha sempre assicurato il massimo impegno per scongiurare l’ipotesi Sardegna, resa peraltro difficoltosa dai rischi legati al trasporto via mare. Anche i parlamentari, a prescindere dal partito che rappresentano, hanno già espresso la loro contrarietà.