Strage di Sinnai, i giudici: “Non abbiamo prove concrete dell’innocenza di Beniamino Zuncheddu”

Rese note le motivazioni della sentenza con cui la corte d’appello di Roma ha revocato la condanna all’ergastolo dell’uomo per il triplice omicidio del 1991, basandosi sulla ritrattazione del testimone oculare Luigi Pinna che non è ritenuto affidabile


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Tirato fuori dal carcere dopo 33 anni e una condanna all’ergastolo, ma i dubbi sulla sua innocenza, nei giudici, restano. Ed emergono nelle motivazioni della sentenza con cui la corte d’appello di Roma ha revocato la condanna all’ergastolo di Beniamino Zuncheddu per il triplice omicidio di Sinnai del 1991, mandandolo assolto ma non con formula piena, lasciano molti punti oscuri. Soprattutto per un motivo: i giudici, dopo 33 anni di carcere, hanno assolto Zuncheddu basandosi sulla ritrattazione del testimone oculare e unico sopravvissuto alla strage, Luigi Pinna, pur ritenendo quest’ultimo tutt’altro che affidabile, è stato lui stesso a raccontare di avere subito più volte minacce dopo l’avvio del procedimento di revisione. “Ha reso una deposizione quantomeno contraddittoria e confusa”, è scritto nelle motivazioni della sentenza. “Il venir meno di tale prova fondamentale, pur residuando delle perplessità sulla effettiva estraneità di Beniamino Zuncheddu sulla strage, anche per “l’aiuto” ricevuto dai suddetti terzi per indurre Pinna alla ritrattazione, non consente di pervenire a una conferma della sentenza di condanna, dovendosi quindi assolvere l’imputato, non già perché si è raggiunta la piena prova della sua innocenza, bensì perché il quadro indiziario di per sé non è sufficiente per affermare la sua colpevolezza e quindi l’assoluzione deve essere formulata ai sensi del comma 2 dell’articolo 530 del codice di procedura penale”.

 

Nella sentenza i giudici criticano anche il ruolo della stampa: “La già esile speranza di poter pervenire a una ricostruzione veritiera e attendibile dello svolgimento dei fatti dopo 30 anni, è stata gravemente pregiudicata dalla forte attenzione mediatica riservata a questa vicenda, tale per cui sono state divulgate disinvolte ricostruzioni dei fatti, arricchite da discutibili commenti, giudizi personali, congetture, valutazioni unilaterali prive del dovuto contraddittorio (e quindi lacunose e parziali), che hanno inciso sulla genuinità dei testi, che invece avrebbero forse potuto offrire qualche spiraglio di verità se fosse stato lasciato libero il campo alla memoria di ciascuno di essi, non influenzata da narrazioni preconfezionate”.

 

Zuncheddu – si legge ancora nella sentenza – “fu condannato perché il teste oculare dichiarò di averlo riconosciuto come l’aggressore, nonché per aver fornito un alibi falso”. Nel motivare l’assoluzione, la Corte scrive che “all’esito dell’istruttoria oggi svolta residuano delle perplessità sulla sua effettiva estraneità all’eccidio, commesso verosimilmente da più di un soggetto, uno dei quali, diversamente da quanto opinato nell’istanza di revisione, non era un cecchino provetto, non riuscendo nell’intento omicidiario nemmeno dopo aver sparato due colpi a distanza ravvicinata in un luogo talmente stretto che ‘non occorreva prendere la mira’”.