Sindacati in piazza, l’avviso al Governo: “Subito il metano in Sardegna o sarà battaglia”

Dopo la manifestazione di oggi il tavolo Governo-Regione-sindacati sull’energia che non veniva convocato, pur essendo stato ripetutamente annunciato, oggi è stato finalmente indetto per il prossimo 30 luglio al Mise


Per le ultime notizie entra nel nostro canale Whatsapp

“Subito il metano in Sardegna”. questa la richiesta dei sindacati al Governo. Dopo il confronto con la Giunta regionale i sindacati avevano deciso di confermare la mobilitazione di oggi – un presidio di lavoratori e delegati sindacali dell’industria davanti al Palazzo regionale di Via Trento – svoltasi proprio a sostegno della richiesta del tavolo Governo-Regione-sindacati che non veniva convocato, pur essendo stato ripetutamente annunciato, e che oggi è stato finalmente indetto per il prossimo 30 luglio al Mise: “Andremo a Roma con una delegazione di lavoratori – hanno detto i segretari generali Cgil, Cisl e Uil Michele Carrus, Gavino Manca e Francesca Ticca – annunciando che la mobilitazione non si fermerà sino a quando non si otterranno risposte definitive, con piani chiari e stabili e con previsioni temporali compatibili con la realizzazione degli investimenti necessari, a partire dalla conferma del programma e degli impegni per portare il metano in Sardegna”.

 Le posizioni dei sindacati sono state ribadite stamattina, quando una delegazione Cgil, Cisl e Uil ha incontrato l’assessora dell’Industria Anita Pili. Nel corso della riunione si è parlato dei contenuti della relazione tecnica “Scenari legati al phase out dal carbone, alla metanizzazione e al Pniec” predisposta dalla Regione, che verrà inviata al ministero. Secondo Cgil, Cisl e Uil il testo recepisce gran parte delle richieste avanzate in questi mesi da sindacati e lavoratori: il rispetto degli accordi sul metano, con dorsale e rigassificazione, è la scelta obbligata proprio per garantire il rinnovamento del sistema energetico, a vantaggio dei cittadini e delle imprese, in condizioni di sicurezza e stabilità, con l’obiettivo del rilancio del sistema produttivo, non solo per quanto riguarda l’industria metallurgica non ferrosa, ma anche per l’avvio di nuove iniziative produttive e manifatturiere in tutti i settori, ad iniziare dall’agro-industria, le quali, per svilupparsi e crescere, hanno necessità di energia termica e, nel complesso, di una rete efficiente e di costi competitivi.

 Altro punto cruciale per i sindacati è la contrarietà al piano alternativo proposto dal governo nazionale, ovvero il nuovo elettrodotto a Sud. Esso è non solo lontano nel tempo e inutilmente costoso – la data ipotizzata nello stesso PNIEC per la sua realizzazione è il 2031, per una spesa stimata in circa tre miliardi di euro! – poiché per funzionare come servirebbe esso presuppone, comunque, una nuova capacità di generazione a gas di almeno 400 MW (è infatti impensabile un accumulo energetico di tali dimensioni) e ulteriori compensatori per almeno 250 MVar; ma esso risulterebbe perfino dannoso per l’ulteriore sviluppo delle rinnovabili: chi, come e per chi avrebbe più interesse a produrre energia in Sardegna, se l’isola verrà così privata totalmente della sua autonomia energetica?

 In definitiva, il nuovo elettrodotto servirebbe solamente a giustificare la produzione aggiuntiva di energia elettrica da fonti convenzionali nelle nuove centrali riconvertite in continente, prodotta anche allo scopo di alimentare il nuovo cavo di collegamento per la Sardegna, in cui transiterebbe energia elettrica importata in un’isola che sarebbe però ancor più scarnificata di attività produttive e sempre più spopolata; e quindi si tratterebbe di elettricità destinata alla riesportazione attraverso gli altri due cavi esistenti a nord e a est, il Sacoi e il Sapei, ma compensando due volte il gestore della rete per il vettoriamento della stessa energia in transito. E questa ingegnosa trovata si accompagna, per di più, con la previsione di un carico degli oneri tariffari avulso dal sistema nazionale e fatto gravare sui soli utenti dei sistemi isolati, come prevede Arera, l’Autorità per l’energia e gas, in un parere posto in pubblica consultazione: cioè i sardi dovrebbero persino pagarsi da sé quest’opera – ma anche tutte le altre di “interesse regionale” – che in definitiva servirebbe solamente a interessi esterni all’isola! 

Per queste e tante altre ragioni il sindacato sostiene la necessità di confermare il Piano energetico e ambientale della Sardegna (Pears) già approvato e gli impegni già assunti dal Governo nazionale per la sua realizzazione – ad iniziare dal Patto per la Sardegna del 2016 – integrandoli così come già programmati per la Sardegna nel PNIEC in fase di approvazione definitiva (il Piano nazionale integrato energia e clima). Il sindacato apprezza che questa sia ancora oggi la posizione della nuova Giunta regionale, che sostiene e cui chiede che faccia valere le sue prerogative autonomistiche, la quale si pone sulla stessa linea già adottata in precedenza dalla Regione, con un consenso ampio delle parti sociali, delle forze politiche e, in parte, delle stesse associazioni ambientaliste.

 Tale Piano regionale e i suoi programmi attuativi, infatti, non solo segnano una positiva evoluzione dello scenario regionale verso la maggiore sostenibilità economica e ambientale e la riduzione quasi totale, a regime, delle emissioni climalteranti, accelerandone i processi in un’isola che ha già abbondantemente superato, e con largo anticipo, gli obiettivi assegnati di sviluppo delle FER (che già oggi rappresentano oltre il 50% della potenza installata in Sardegna), di riduzione della CO2 e di risparmio dei consumi energetici; ma soprattutto costituiscono la cornice di riferimento per gli importanti investimenti pubblici e privati già programmati, molti sanciti con specifici accordi anche a livello governativo, per la riconversione ecologia delle attuali centrali a carbone a servizio del sistema regionale, per il rinnovamento delle sue reti e la loro riorganizzazione distrettuale, per il rilancio e lo sviluppo industriale dell’Isola e per la sua complessiva riqualificazione verso la piena sostenibilità ambientale, investimenti che oggi sono lasciati in un limbo d’incertezza che espone la Sardegna e decine di migliaia di lavoratori a pesanti ripercussioni occupazionali che non possiamo e non vogliamo permetterci.


In questo articolo: