Sassari, i siti megalitici sardi straordinari misuratori del tempo

Presentati con grande fascino e rigore scientifico gli studi archeo-astronomici su alcuni importanti monumenti nuragici e prenuragici. Individuata nel piede attico l’unità di misura utilizzata dagli antichi progettisti di S’arcu ‘e Is Forros


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Il rigore del metodo scientifico si è ben amalgamato al fascino che l’uomo ha sempre avuto nell’alzare lo sguardo verso il cielo e scrutare le stelle con stupore e curiosità. Anzi “La misura del tempo”, il V Convegno di archeo-astronomia in Sardegna tenutosi nei giorni scorsi al Polo Bionaturalistico universitario di Piandanna, ha amplificato nei presenti la voglia di approfondire le scoperte, grazie allo spessore delle relazioni e al modo semplice e attraente col quale gli studiosi hanno presentato argomenti di notevole complessità. 

A tenere alta l’attenzione fin dal primo momento è stata una ricerca della Società astronomica turritana e del Circolo culturale Aristeo di Sassari (organizzatori del convegno) su due complesse strutture monumentali, quella nuragica di S’arcu ‘e is Forros a Villagrande Strisaili e l’altra neolitica di Is Cirquittus a Laconi. 

I due complessi, già noti per le funzioni cultuali che li caratterizzano, pur distanti nel tempo e nelle civiltà che li hanno costruiti, sembrano essere collegati ai solstizi e alla conoscenza del ciclo delle stagioni e dello scorrere del tempo, confermando le strette connessioni che legavano cielo e terra nell’antichità.  

Lo studio, illustrato da Michele Forteleoni, caratterizzato da una corretta analisi delle fonti, è stato realizzato con l’ausilio delle più moderne tecnologie come il rilievo con GPS topografico e la ripresa aerea compiuta dal drone.  

Il complesso di S’Arcu ‘e Is Forros è stato anche oggetto di studio da parte di tre ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma, Flavio Carnevale, Marzia Monaco e Marcello Ranieri, che hanno individuato l’unità di misura con la quale le antiche “maestranze” locali realizzavano i loro progetti. 

Attraverso lo studio delle proporzioni tra le diverse murature e lo sviluppo di multipli e sottomultipli, gli studiosi sono arrivati al calcolo di 0,298 millimetri, una dimensione pressoché identica al piede attico utilizzato da numerose civiltà antiche e ripreso anche in epoca romana. 

Le nuove scoperte sul sito complesso di Monte Baranta a Olmedo sono state invece presentate da Luca Doro dell’Ateneo turritano, che ha mostrato in anteprima le risultanze delle recenti indagini archeologiche, come il ritrovamento di un frammento di ceramica campaniforme nei pressi di una struttura megalitica poco distante dalla celebre muraglia, che potrebbe rivelarsi molto utile per la datazione della frequentazione umana nell’area. 

In serata l’appuntamento ha toccato temi di grande curiosità scientifica. Gian Nicola Cabizza della Società astronomica turritana ha illustrato la tecnica di misurazione delle montagne lunari utilizzata già da Galileo con i limitati strumenti a disposizione nel Seicento. 

Molto seguito è stato il tema del legame tra Astronomia e paleoclima trattato da Elio Antonello dell’Istituto Nazionale di Astrofisica-Osservatorio astronomico di Brera, per cui alla base dei cambiamenti climatici ci sarebbe in qualche modo l’influsso dei fenomeni astronomici, come effetti della variazione dell’orbita terrestre. Questi influssi sul clima sarebbero inoltre alla base dell’evoluzione della specie umana e del succedersi delle civiltà nella storia. Gli studi della fisica applicata rendono sempre più evidente come ci sia uno stretto e intrinseco legame tra “cielo e uomo”, superando in chiave scientifica le credenze e le mistificazioni dell’astrologia. 

Smentita infine la tesi dell’Omero baltico, ipotesi che non regge a detta di Mario Codebò del Centro ricerche astronomia ligustica. Lo studioso, partendo dalla visione delle stelle descritta in un brano dell’Odissea, ha tracciato possibili rotte in mare effettuate da Ulisse alla ricerca della sua amata Itaca. 

 

 


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