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Ha aperto il suo ristorante-pizzeria a Pirri cinque anni fa, dopo aver diretto per decenni un altro locale ai piedi di Monte Urpinu, Sandro Angius. Cinquantaquattro anni, insieme a suo fratello Franco, ci sono anche loro nella lunghissima lista di ristoratori disperati. La possibilità di fare vendita da asporto, per Angius, suona quasi come una beffa: “Non l’ho mai fatto, non sono abituato e la mia clientela vuole sedersi ed essere servita. Abbiamo uno staff di una ventina di persone, se la sala non riapre non potrò riassumere molti di loro”, afferma, sconsolato, il ristoratore: “Sono tutti a casa e non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione”. Angius sa perfettamente che il virus può ancora circolare e contagiare le persone: “Certo. Però, a questo punto, sarebbe meglio farci riaprire in piena sicurezza. Ho fatto un semplice calcolo, attualmente ho 320 posti: con il distanziamento ne avrei appena cinquanta” ma, dal suo discorso, sarebbe sempre meglio che tentare l’unica carta dell’asporto. “Anche se, comunque, sarebbe complicato servire tutti con guanti e mascherine: dovremmo sanificare i tavoli spesso e non è comunque detto che le persone ritornino al ristorante in tempi brevi, è normale che molti abbiano paura di possibili contagi”.
“Le tasse sono puntuali e per noi è un massacro: affitto e bollette vanno pagate, e negli ultimi due mesi ho perso tutti gli incassi legati a cresime e matrimoni, una valanga di lavoro scomparsa”. Angius non si vergogna certo a dire di essere “confuso. Non sappiamo ancora cosa fare, ma è certo che stiamo vivendo una brutta crisi. Non sappiamo ancora se chiederemo il finanziamento al Governo, è un indebitamento e, con le casse praticamente vuote, non possiamo permettercelo”.