
I diritti dei sardi ignorati pure dalle statistiche. Salassati e beffati, mentre nel resto d’Italia si grida allo scandalo per gli aumenti che faranno spendere 69 euro in più di benzina a una famiglia che volesse attraversare il paese intero, e si fanno proteste e si organizzano rivolte, la Sardegna è tagliata fuori pure dalle statistiche. Qualcuno dall’altra parte del mare si è mai chiesto cosa significa per un sardo o per chi nell’isola ci abita, spostarsi? Qualcuno si è mai messo nei panni di chi neanche spendendo 10 volte tanto, per dire, potrebbe mai fare da solo? Nessuno, con la connivente complicità di una politica incapace. Qualche sussulto alla scadenza di bandi e concessioni, poi si torna tutti nello stato agonico, per poi risvegliarsi quando i diritti da difendere sono quelli dei turisti, che giustamente protestano per dover pagare cifre insostenibili. Come nel più classico degli italici copioni, l’isola che non c’è torna a materializzarsi nell’immaginario collettivo per un mese o poco più. Poi, sprofonda, nell’indifferenza generale acuita dall’incapacità di fare battaglie per i diritti veri nascondendosi dietro la mossa cattura consensi dell’insularità in costituzione.
Come se vivessero in una realtà sdoppiata, i sardi devono vedersela con un mondo che gli viene raccontato ma non esiste e con uno che esiste ma di cui si evita di parlare. Che cos’è l’insularità in costituzione su cui si stanno suonando le grancasse e esplodendo fuochi d’artificio? Il nulla, se non una suggestione da parte di chi strumentalmente racconta che una volta entrata l’insularità nella super carta dei diritti del popolo, i problemi storici, atavici, arrugginiti ed eterni dei sardi spariranno. Sa di beffa, e forse lo è.