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Sa Ramadura ha assunto per l’immaginario collettivo l’aspetto di una bellissima strada di petali colorati che incorniciano una fase della sagra di Sant’Efisio. È anche un atto di omaggio nei confronti del Santo che scacciò via da Cagliari il morbo della peste proteggendo la città da guerre e altre sventure. Chiamata pure “infiorata”, sa ramadura – come la vediamo in TV – consiste nello spargere delicatamente per terra, con le mani, milioni di petali di rose preparate per l’occasione, scelte accuratamente. Ed accuratamente, questa scelta, è stata più volte ragionata.
Un modo di fare che rguarda Cagliari, Pula e altre località affinché al suo passaggio, il cocchio che trasporta la statua del Martire Efisio, il 1 Maggio, possa avanzare su un tappeto floreale.
Ma è davvero questo il significato più profondo del rito de Sa Ramadura? Probabilmente no.
Anche la parola va distinta dal rito della “Infioritura“. Perché da essa è qualcosa di diverso. Non si tratta di quel che leggiamo nel sito della Regione Sardegna, nella sua “Liberia digitale”.
Il signor Loi dovette infatti “accomodare il ponte pagando 4 scudi e finalmente, detto Loi” si dovette occupare “di tutta la ramatura che si farà nella città secondo costume”.
Significa che questo rito era importantissimo, e non ha avuto sempre e solo a che fare con Sant’Efisio e con la sua bellissima sagra del 1656. Dato che il documento (Custodito nell’Archivio di Stato nei contratti) non cita Sant’Efisio né la sagra, ma una “antica consuetudine”, significa che era usanza sia per tale festa professionale e così per quelle del Corpus Domini, far largo uso di rami con essenze profumate. Magari con qualche petalo in meno e qualche fogliolina profumata in più. Anzitutto per smorzare, come detto, i cattivi odori e poi, ma solo in secondo piano, per un fattore estetico. Buone sagre e buon primo maggio a tutti dunque, all’insegna delle tradizioni che si rinnovano diversamente, pur sempre al passo con i tempi.
Marcello Polastri