Rapporto Crenos: piccoli segni di ripresa in Sardegna, non per sanità

Cresce la spesa pubblica, le imprese sono ridotte, sale l’occupazione e l’esportazione, aumenta il turismo, ma la sanità e l’istruzione mostrano segnali preoccupanti


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Il quadro macroeconomico

I dati di contabilità nazionale tracciano per l’Italia e il Mezzogiorno un quadro macroeconomico con evidenti segni di fragilità. Il PIL pro capite non è mai stato così basso negli ultimi 15 anni. La recessione ha colpito soprattutto le aree storicamente più deboli: nel Mezzogiorno la riduzione del reddito (-1,7% tra 2013 e 2014 e -1,8% in media nel quinquennio 2010-2014) è stata più forte che nel Centro-Nord (-1,3% e -1,7% negli stessi anni). La distanza tra il Nord e il Sud del Paese è aumentata: il PIL pro capite del Mezzogiorno non raggiunge il 57% del Centro-Nord.

In questo scenario, la situazione della Sardegna sembra più incoraggiante rispetto al resto del Mezzogiorno: il PIL reale nel 2014 ammonta a 31,6 miliardi di euro, pari a 19.021 euro per abitante (Mezzogiorno 16.762 euro, Centro-Nord 29.676 euro), ovvero al 75,3% della media nazionale (25.257 euro) e al 64% del Centro-Nord. L’ulteriore contrazione del PIL registrata nel 2014 (-1,1%, -1,4% in Italia) è meno pesante di quella del quinquennio 2010-2014 (-1,4%, -1,7% in Italia), ad indicare un allentamento significativo della morsa recessiva ma che ancora non consente di annunciare per la Sardegna la tanto attesa ripresa economica. I dati sul PIL pro capite europeo indicano che nel 2014 la Sardegna si posiziona 206esima su 276 regioni dell’UE, con un reddito per abitante pari al 72% di quello medio (come la Grecia).

Nel 2014 le famiglie sarde hanno speso 21,3 miliardi di euro per l’acquisto di beni e servizi, pari a 12.808 per abitante (Mezzogiorno 11.629 euro, Centro-Nord 17.155 euro). I valori pro capite sono in calo dell’1,2% rispetto all’anno precedente. Tengono gli acquisti di servizi, che rappresentano circa la metà della spesa totale. Gli acquisti di beni non durevoli (alimentari, vestiario, giocattoli, detergenti) invece continuano a frenare i consumi (-2,9% in Sardegna e -1,5% in Italia), mentre la novità del 2014 è la ripresa degli acquisti dei beni durevoli (autovetture, arredamento ed elettrodomestici) in tutti i territori (+1,7% in Sardegna e +2,2 in Italia), dopo le pesanti contrazioni dei quattro anni precedenti.
 
La struttura produttiva e l’export

Nel 2015 il numero delle attività imprenditoriali in Sardegna è pressoché invariato rispetto all’anno precedente: 142.578 imprese attive (85,9 ogni 1.000 abitanti). Con 3.425 imprese attive in più rispetto al 2014, invece il Mezzogiorno nel suo insieme mostra maggiore dinamicità. Il dato segue 6 anni consecutivi di ridimensionamento del tessuto imprenditoriale e indica un primo segnale di allontanamento dalla recessione.
 
Le imprese sarde hanno una dimensione estremamente ridotta: in media 2,8 addetti. La quota di microimprese (meno di 10 addetti) è il 97% del totale e la forza lavoro in esse impiegata è il 63% del totale (47% in Italia). Il settore agricolo e le attività collegate al turismo (alloggio e ristorazione) sono più forti nell’Isola rispetto al resto d’Italia, tuttavia l’agricoltura contribuisce relativamente poco alla creazione di valore aggiunto (meno del 5%). Desta preoccupazione il forte sottodimensionamento in termini di attività produttive, e ancor più di valore aggiunto (10,4% in Sardegna contro 18,6% in Italia), del comparto industriale. Tra i servizi le attività svolte da imprese private (finanziarie, immobiliari, professionali, supporto alle imprese), confermano la loro minore capacità di creare valore aggiunto (5 punti percentuali in meno rispetto al dato italiano).

Buone notizie giungono dai dati sulle esportazioni: nel 2015 la Sardegna si riallinea al trend nazionale e registra un nuovo segno positivo (+3,2%). Nonostante il crollo del prezzo del greggio, le vendite all’estero del settore petrolifero sfiorano i 4 miliardi di euro e sono in crescita (+193 milioni di euro rispetto al 2014). Anche l’industria alimentare, strategica per l’economia regionale per la maggiore ricaduta sul territorio, si mostra in forte espansione per il quinto anno consecutivo (+13,4%) e raggiunge i 195 milioni di euro, nonostante permanga la forte dipendenza da un unico principale mercato di destinazione, gli Stati Uniti. Un altro importante risultato è quello dei prodotti in metallo (circa 191 milioni di euro) che ricomprendono armi e munizioni. Le vendite di queste ultime ammonta a 40,8 milioni di euro e registra una forte espansione (+39%) rispetto al 2014. La destinazione principale (28 milioni di euro) è il mercato asiatico (Arabia Saudita, Emirati Arabi e Israele), altro importante partner commerciale è il Regno Unito (9,5 milioni di euro).

Il mercato del lavoro

In Sardegna, il tasso di attività e il tasso di occupazione nel 2015 crescono rispettivamente dell’1,7% e del 3,3%. Il tasso di disoccupazione diminuisce del 6,8%, dopo ben sette anni di crescita ininterrotta, attestandosi al 17,4% (118,6 mila disoccupati). L’analisi individua nella componente femminile con alto titolo di studio il fattore trainante di questa dinamica, nonostante il permanente differenziale di genere. Il tasso di attività si attesta infatti al 52% per le donne, aumentando di due punti percentuali nell’ultimo biennio, mentre resta abbastanza stabile per gli uomini (69,7%); il tasso di occupazione aumenta di due punti percentuali per le donne arrivando al 42,5%, mentre per gli uomini aumenta solo di un punto arrivando al 57,8%, in controtendenza con quanto accade a livello nazionale. I disoccupati sardi sono soprattutto uomini con basso titolo di studio (35,1%, in aumento rispetto al 2014), mentre la quota di donne disoccupate con stesso livello di istruzione è 18,7% (in Italia queste quote sono pari a 27,7% e 16,1%). Anche la quota di diplomati disoccupati aumenta (dal 14,4% al 17,1%). Si riduce invece la quota di donne diplomate disoccupate (dal 25,9% al 18,2%).

Secondo i dati INPS – Osservatorio sul precariato, il 2015 è caratterizzato anche per la Sardegna da un numero di attivazioni di rapporti di lavoro superiore a quello delle cessazioni: il saldo netto è pari a quasi 12 mila rapporti di lavoro, corrispondente ad un aumento del 9% delle assunzioni totali (contro l’11% della media nazionale e il 7% del Mezzogiorno). Sono le prime ricadute del “Jobs Act”. Le assunzioni a tempo indeterminato passano da circa il 26% del 2014 al 35% nell’anno successivo, in linea con il dato nazionale e in misura decisamente maggiore rispetto al Mezzogiorno. Il dato è spiegato anche dalle trasformazioni di precedenti contratti di apprendistato o a tempo determinato, con un tasso di conversione di queste tipologie contrattuali pari al 43% in Sardegna, superiore al dato del Mezzogiorno ma leggermente inferiore al dato dell’Italia.

Durante il 2015 la quota di assunzioni a tempo indeterminato che hanno beneficiato della decontribuzione totale in Sardegna è pari al 24%, un dato che salirebbe ulteriormente considerando le trasformazioni dei rapporti di lavoro. I dati risentono soprattutto degli incentivi fiscali approvati con la legge di stabilità. Infatti, la riduzione della decontribuzione avviata a gennaio 2016 ha prodotto una riduzione del 45% delle assunzioni a tempo indeterminato rispetto al gennaio 2015 (mentre tra gennaio 2014 e gennaio 2015 erano cresciute del 12,9%). L’analisi suggerisce un cauto ottimismo relativamente alla valutazione degli effetti complessivi delle recenti riforme del mercato del lavoro.

I servizi pubblici

L’analisi della sanità mostra segnali preoccupanti per la Sardegna, soprattutto alla luce delle politiche di contenimento della spesa decise dal governo centrale. La spesa sanitaria per abitante è sempre più lontana dalla media italiana. Nel 2014 cresce dello 0,8% (0,2% in Italia) ed è pari a 1.944 euro per abitante, dato superiore a quello del Centro-Nord (+73 euro) e del Mezzogiorno (+220 euro). Mentre negli ultimi cinque anni la spesa pro capite si riduce dello 0,6% in tutto il paese, in Sardegna si registra un incremento medio annuo dello 0,5% che porta il Servizio Sanitario Regionale (SSR) a destinare il 9,8% del PIL sardo al settore sanitario (6,9% in Italia). La componente più importante della spesa sanitaria è quella per il personale (36,7% contro il 31,5% in Italia). Mentre rispetto al 2010 questa voce di spesa ha subito una contrazione in tutto il paese (dal -2% nel Mezzogiorno al -0,9% nel Centro-Nord), in Sardegna è aumentata mediamente dello 0,5%. Nell’ultimo quinquennio aumentano del 3,3% le spese per l’acquisto di beni e servizi che rappresentano il 21,3% del totale (19,8 in Italia). La Sardegna destina una quota nettamente inferiore di risorse (14,3%) alle convenzioni con i privati rispetto al Mezzogiorno e alla media nazionale (20,6%), anche se nell’arco degli ultimi cinque anni tale voce di spesa ha registrato un aumento medio annuo del 2,5%, superiore alla media italiana (+0,7%). Preoccupa l’andamento della spesa farmaceutica che con un aumento del 3,3% ritorna ai livelli del 2011. La Sardegna presenta la seconda più alta incidenza fra le regioni italiane (18,7%), mentre in Italia incide per il 15,6%.

Per quanto riguarda i servizi pubblici locali di rilevanza economica, si conferma il quadro d’insieme positivo delineato negli ultimi anni per il settore dei rifiuti solidi urbani. Esiste tuttavia una chiara dicotomia fra efficacia in termini di prestazioni ambientali, sempre più prossime alle regioni del Centro-Nord (la Sardegna raggiunge il 53% di raccolta differenziata), ed efficienza in termini di costi, poiché la Sardegna è più vicina alle (non buone) performance del Mezzogiorno. La spesa pro capite dei comuni sardi per la gestione dei rifiuti è circa 169 euro, superiore a quella dei comuni del Centro-Nord (109 euro) che hanno una produzione totale pro capite superiore ed una performance simile per la raccolta differenziata.

I fattori di crescita e sviluppo

L’analisi conferma il ben noto svantaggio della Sardegna in termini di dotazione di capitale umano. Nel 2014 appena il 17,4% delle persone tra i 30-34 anni ha conseguito un titolo di studio universitario (l’obiettivo europeo è fissato al 40%) e ogni 100 donne nella stessa fascia d’età almeno 22 sono laureate mentre tra gli uomini solo 12,7. Gli studi in materie tecnico-scientifiche (STEM – Science, Technology, Engineering and Mathematics) continuano a essere poco attrattivi tra i giovani studenti. Solo il 15,5% della popolazione attiva ha conseguito una laurea in queste materie, dato non lontanissimo dalla media italiana (19,3%) e inferiore alla media EU (38,9%). I dati più allarmanti riguardano il tasso di abbandono scolastico, tra i più elevanti in Italia, e la percentuale di giovani inattivi, in drastica crescita rispetto al 2010. Nel 2014, il 29,6% dei ragazzi e il 17% delle ragazze in età 18-24 anni ha abbandonato gli studi e oltre il 27% dei giovani tra i 15 e i 24 anni (30,6 per i ragazzi e 24,7% per le ragazze) non studia e non lavora (i c.d. “giovani scoraggiati” o NEET – Not in Education, Employment nor Training). Il dato sulla formazione permanente degli adulti è invece in crescita: con il 9,7% della popolazione in età 25-64 anni impegnata in attività di istruzione e/o formazione, la Sardegna è sopra la media Italiana (pari all’8%) ed è vicina alla media UE (10,7%) anche se l’obiettivo europeo è fissato al 15%.

I dati sull’innovazione indicano la necessità di adeguate politiche atte a rinforzare la competitività regionale. Nel 2013, la Sardegna è lontana dall’obiettivo europeo (3%) se si considera quante risorse dedica alla R&S: lo 0,76% del PIL. La debolezza degli investimenti in R&S è riconducibile soprattutto al settore privato, che copre il 5,6% della spesa totale. Per quanto concerne la quota di occupati nei settori high-tech, i dati sono sconfortanti e assegnano alla Sardegna la maglia nera a livello europeo: nel quinquennio 2010-2014 si registra un lievissimo aumento di questo indicatore che passa dal 1,5% al 1,6% e si evidenzia una forte disparità di genere a sfavore delle donne. Questo dato mette in evidenza la difficoltà del settore produttivo a collegare la propria attività con gli input provenienti dai centri di ricerca pubblica e dalle università. Inoltre i dati confermano una forte resistenza delle imprese sarde ad adottare nuovi modelli organizzativi e nuovi meccanismi di comunicazione: solo il 48% delle imprese con almeno 10 addetti è dotato di un sito internet e solo il 10% di queste effettua vendite on line.

Il turismo

Continua a crescere il numero di turisti in Sardegna, in linea con quanto accade a livello internazionale e nazionale. Per il 2014, i dati definitivi Istat indicano che la Sardegna ha registrato circa 2 milioni e 391 mila arrivi (+10%) e 11 milioni e 363 mila presenze (+6,4%): l’isola fa quindi peggio delle regioni competitor Sicilia e Puglia, ma meglio di Calabria e Corsica.

I dati sulle presenze evidenziano una ripresa della componente nazionale (+4,8%) e di quella estera (+8,3%). La quota dei turisti stranieri nel 2014 è pari al 47% (29% nel 2005) e si avvicina alla media nazionale. Germania, Francia, Svizzera e Regno Unito si riconfermano i principali paesi di provenienza dei turisti stranieri. Da segnalare la crescita sostenuta dei turisti russi, che nell’ultimo anno fanno registrare un +26,5% di presenze.
La stagionalità dei flussi turistici rappresenta ancora una criticità per la Sardegna. Circa il 53% delle presenze turistiche si concentra nei mesi di luglio e agosto, e questa percentuale raggiunge l’84% se si considera l’intera estate (da giugno a settembre). I flussi internazionali superano la componente nazionale nei mesi di aprile, maggio, giugno, settembre e ottobre, aiutando a perseguire l’obiettivo di destagionalizzazione.
Nel 2014 aumentano le strutture ricettive (+6,5%) e i posti letto (+13,9%) grazie soprattutto agli alloggi in affitto, le case per ferie e i campeggi. Nel settore alberghiero, gli hotel 5 stelle e 5 stelle lusso registrano l’aumento maggiore. Il tasso di occupazione delle strutture è inferiore alla media italiana: 20,9% per le strutture alberghiere e 8,4% per quelle extralberghiere. I dati sono in linea con quelli delle regioni competitor italiane, ma ancora inferiori a quelli della Corsica. La forte stagionalità spiega il basso utilizzo delle strutture rispetto al potenziale: esse vengono utilizzate per il 52% nel mese di agosto e per l’1% nei mesi di gennaio e di dicembre.

Secondo i dati provvisori 2015 forniti dal Servizio della Statistica regionale, la domanda turistica continua a crescere per il terzo anno consecutivo: gli arrivi registrano un aumento del 9,2% e le presenze del 9,1%. Riprende la crescita della componente straniera delle presenze: +9,9%, contro il +8,4% della componente nazionale.