Nel mare magnum del ricordo collettivo che oggi si fa di Pinuccio Sciola, tra storture personali, recentismo e esagerazioni artistiche, mi vengono in mente due momenti precisi.
Il primo è del maggio 1999 al Salone del libro di Torino.
Io avevo 9 anni e Pinuccio Sciola era intento a presentare le pietre sonore, una sua nuovissima realizzazione che da lì a pochi anni sarebbe diventata famosa in tutto il mondo.
La mia innata curiosità di bambino mi aveva portato a chiedergli e insistere di insegnarmi a suonarle.
Lui non solo lo fece, fisicamente portandomi più volte nel suo laboratorio di San Sperate e riaccompagnandomi a casa, ma mi regalò un pensiero che ancora tengo e continuerò a tenere nel comodino di camera mia.
Il secondo ricordo è invece molto più recente. Settembre 2013. Nel pieno della polemica per l’ignobile e incomprensibile cancellazione del suo gigantesco graffito di piazza Repubblica (riassunto della politica culturale di questa città: cancellare da una parte, rifare da un’altra, buttare i soldi pubblici, azzerare la figura dell’artista).
Con i miei amici Adriana e Daniele avevamo organizzato in Castello una tre giorni dedicata al concetto di vibrazione.
Tra i tanti artisti nazionali Sciola era l’ospite d’onore di una bellissima chiacchierata con i ragazzi del liceo artistico.
Il mestiere dell’artista, l’arte della pietra, la vibrazione.
“Francesco, ti ringrazio per l’invito e per l’opportunità. A Milano il mio nome nelle mostre è scritto a caratteri cubitali, qui cancellano le mie opere e non mi pagano quelle commissionate”.
Nelle sue parole ho trovato la perfetta sintesi della politica culturale degli ultimi anni di quest’isola: quando c’è da prendere e da apparire la politica è sempre presente, quando c’è da aiutare e tutelare questa latita.
Oggi come non mai.
Saluto un artista che è stato capace di farsi conoscere grazie al proprio lavoro e alla propria applicazione quotidiana, ma con l’avversità di una debolissima condizione della nostra classe dirigente.
Francesco Accardo