Uso illecito dei soldi per la politica, 2 anni e 9 mesi a Francesca Barracciu

L’ex consigliera regionale del Pd e sottosegretaria alla Cultura nel governo Renzi non andrà in carcere ma beneficerà dei lavori sociali. Revocate anche le pene accessorie, ovvero l’interdizione dai pubblici uffici che avrebbe impedito all’ex europarlamentare non solo di ricandidarsi ma anche di votare. Si tratta della seconda sentenza d’appello dopo l’annullamento della precedente in Cassazione


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Due anni e nove mesi di reclusione, ma senza l’interdizione dai pubblici uffici, niente carcere ma il beneficio dei lavori sociali. E’ quanto ha deciso la corte d’appello di Cagliari nei confronti di Francesca Barracciu, ex sottosegretaria alla Cultura nel governo Renzi, accusata di peculato aggravato quando era consigliera regionale del Pd: la sentenza riguarda l’inchiesta sull’uso illecito dei fondi destinati ai gruppi consiliari e che invece, secondo i magistrati, sono stati spesi da decine di ex consiglieri per uso anche personale. La Procura aveva contestato in origine spese per 77 mila euro, solo in parte giustificate con le spese per il carburante durante le trasferte da consigliera regionale: per la Barracciu, sulla quale la procura cagliaritana aprì l’inchiesta il giorno successivo a quello in cui vinse le primarie diventando la candidata ufficiale del centrosinistra alla presidenza della Regione nel 2014 sostituita poi da Francesco Pigliaru proprio per queste vicende giudiziarie), si tratta della seconda sentenza d’appello, dopo l’annullamento della precedente (3 anni e 3 mesi) da parte della Cassazione per la prescrizione di una parte delle spese contestate. Il procedimento fu affidato a un’altra sezione d’appello, e oggi si è arrivati a sentenza, con la revoca delle pene accessorie inizialmente inflitte, cioè l’interdizione ai pubblici uffici che avrebbe tolto a Francesca Barracciu sia il diritto di voto che quello di candidarsi. L’ex europarlamentare resta però non candidabile per effetto della legge Severino, in quanto condannata a più di due anni. La difesa valuta ora il ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo.

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