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Mercoledì 4 novembre alle ore 21 al Teatro Massimo di Cagliari andrà in scena “Morte araba – La genesi” di Maurizio Saiu.
L’opera, nata nel 1998, col desiderio di sperimentare una danza estremamente breve, recuperava l’impostazione degli “assoli” creati dalla coreografa tedesca Mary Wigman negli anni Trenta, che Saiu ebbe modo di vedere ricostruiti durante la sua permanenza a New York negli anni Ottanta.
Dopo quasi vent’anni, Maurizio Saiu recupera le matrici di questa sua creazione mettendo in scena un duo danzato da sé stesso con Elisabetta Di Terlizzi. L’autore si è ispirato al libro di Bela Lugosi, dove viene citata la famosa attrice del cinema muto Theda Bara che fece scolpire sulla sua tomba l’anagramma del suo nome, arab death (morte araba appunto).
Morte araba – La genesi si annuncia dunque come prequel dello spettacolo originario, in cui “pre” e “post” – “prima” e “dopo” – viaggiano parallelamente in una sempre più urgente discussione intorno ai temi della morte, dell’alterità e della differenza.
Maurizio Saiu è considerato uno degli esponenti storici della danza d’autore in Italia. Formatosi tra Roma e Cagliari, nel 1985 si trasferisce a New York dove comincia a interessarsi all’interazione tra i linguaggi della danza e del canto. Tornato in Sardegna nel 1991 rivolge la sua ricerca alla tradizione popolare e all’arte contemporanea. Dal 2008 la produzione artistica di Saiu acquista un nuovo respiro internazionale, a partire dalla residenza artistica presso il centro per la danza contemporanea PARTS, a Bruxelles, e con diversi spettacoli in tournèe tra Germania, Danimarca e il Messico.
Lo spettacolo è una produzione TIR Danza in co-produzione con Sardegna Teatro.
MORTE ARABA: LA GENESI si basa sulla storica – e quasi omonima – performance del 1998 realizzata da Maurizio Saiu. L’opera, nata originariamente col desiderio di sperimentare una danza estremamente breve, recuperava l’impostazione degli “assoli” creati dalla coreografa tedesca Mary Wigman negli anni Trenta, che Saiu ebbe modo di vedere ricostruiti durante la sua permanenza a New York negli anni Ottanta. Si trattava di danze tanto brevi quanto potenti, della durata variabile di 5-10 minuti. Alla fine degli anni Novanta queste danze riaffiorano alla mente del coreografo «leggendo un libro di Bela Lugosi, dove a un certo punto l’autore cita la famosa attrice del cinema muto Theda Bara, che fece scolpire sulla sua tomba l’anagramma del suo nome, arab death. Pensai subito che questa coincidenza espressionista sarebbe diventata una danza, un solo».
Gli elementi chiave della creazione, dunque, sarebbero diventati le figure di Theda Bara, Mary Wigman (parallelamente alla fascinazione per il cinema muto ed espressionista), insieme alla suggestione per l’anagramma-tomba arab death, da cui anche una certa volontà di esplorare le nozioni di staticità, monumentalità e frontalità tipiche dell’arte funeraria. A questo si aggiungeva anche l’interesse per un certo esotismo manierato, tipico dell’estetica orientalista primonovecentesca, il cui vertice assumeva sempre più le sembianze della storica danzatrice statunitense Ruth St. Denis.
Questo intricato e complesso sistema di rimandi si materializza nello storico Morte Araba del 1998, il cui disegno coreografico viene cucito da Saiu sul corpo di Cornelia Wildisen. Sorta di dea-mater ancorata a un tappeto finto orientale, la danzatrice svelava in un lavoro-lampo di circa 10 minuti tutta la sua vertigine drammatica.
Dopo quasi vent’anni, Saiu recupera le matrici di questa sua creazione, alla luce delle tensioni maturate, anche recentemente, tra i blocchi culturali orientale e occidentale. Non più un assolo breve, bensì una sorta di duo danzato dallo stesso Saiu, nel quale, parallelamente alla ricostruzione del tracciato coreografico originale sul corpo di una nuova danzatrice, il coreografo e danzatore sperimenta nuovamente se stesso in scena come performer, recuperando in una nuova concrezione immaginifica proprio le figure che fecero da conduttore alla prima versione del lavoro: Bela Lugosi, Theda Bara, Mary Wigman, Ruth St. Denis.
Morte araba: la genesi si annuncia dunque come prequel dello spettacolo originario, in cui “pre” e “post” – “prima” e “dopo” – viaggiano parallelamente in una sempre più urgente discussione intorno ai temi della morte, dell’alterità e della differenza.