Da oltre quattromila anni domina le campagne di Mores. Testimone del passaggio dei secoli e dei popoli, la sua figura si erge solitaria in una piana attraversata da greggi di pecore e sferzata dal vento. Intorno, solo erba e qualche isolato cespuglio di macchia mediterranea, ambiente forse non molto dissimile da quello dell’epoca in cui fu edificato.
Stiamo parlando del dolmen di Sa Coveccada, il monumento simbolo di un paese e forse di un’isola intera: quattro grandi lastre di trachite perfettamente squadrate e disposte tra loro come a formare le pareti di una casa, in una concezione del sepolcro intermedia tra quella delle domus de janas e le tombe di giganti nuragiche. Il dolmen nacque dall’esigenza di onorare e proteggere i propri antenati e nell’intenzione di chi lo eresse avrebbe dovuto, con la sua struttura in pietra incorruttibile, resistere ai secoli. Ed ecco che l’ingegno di un popolo – che paragonato alle genti del nostro tempo non possedeva nulla se non un altissimo senso del sacro – concepì un capolavoro: tonnellate di roccia vennero estratte, lavorate da abili mani ed erette a costituire l’orgoglio di una comunità che non conosceva la scrittura ma possedeva un fortissimo senso identitario e che nella costruzione vedeva la propria legittimazione a vivere in quei luoghi, in virtù della presenza tangibile di chi l’aveva preceduta.
Eppure anche questo gigante dell’antichità iniziava ad avvertire il peso dei suoi anni. Secoli di erosione ed esposizione agli agenti atmosferici e infestazioni biologiche avevano lasciato gravi cicatrici tanto da far temere il peggio. Nel 2006 il grido d’allarme: il dolmen si sta lentamente sbriciolando, le pareti stanno cedendo, rischia di crollare su se stesso. E’ una corsa contro il tempo: la Soprintendenza per i Beni Culturali di Sassari e Nuoro compie dei sopralluoghi e nel 2011 si pianifica l’intervento: geofisici, chimici e botanici accorrono dalle università di Cagliari e Sassari e vengono coinvolti gli esperti restauratori dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Il monumento viene transennato, costretto in un’impalcatura di sostegno e monitorato costantemente con i più avanzati strumenti laser 3D. Inizia l’opera di restauro e consolidamento.
Per chi lo vede oggi è ancora protetto nel suo cantiere, in attesa di essere liberato dalle impalcature. Ma è salvo. Turisti inglesi e tedeschi accorrono per fotografare il dolmen più imponente di tutta l’area mediterranea, fanno una smorfia nel vedere il cantiere, sanno che sarà immortalato nelle fotografie. Poi ci ripensano e sorridono: “Sarà la scusa per ritornare”.
Quando torneranno la sorpresa potrebbe essere doppia: il progetto prevede infatti oltre al recupero della camera sepolcrale e del vicino menhir, l’acquisizione dei terreni adiacenti in un’area di 12 ettari per rendere più fruibile il sito, con pannelli esplicativi e un pratico parcheggio. Un piano di intervento ben riuscito. Ora anche noi, come quei turisti, speriamo al più presto di poter rivedere il dolmen in tutto il suo splendore. Quel giorno ormai prossimo sarà una vittoria non solo per i cittadini di Mores, non solo per il Meilogu, ma per tutta la Sardegna e l’umanità.