Un giorno che non viene dimenticato nonostante siano trascorsi oltre 80 anni: un momento di riflessione e commemorazione delle vittime del 31 marzo e del grande dolore che avvolse la città dell’hinterland cagliaritano. Quest’anno la Pasqua ha posticipato l’omaggio ufficiale di qualche giorno, che si ripete, in silenzio e rispetto, senza mai dimenticare, però, quello che, i più anziani ancora in vita, custodiscono come ricordi tragici, in cui dolore e paura si mescolano senza lasciar spazio ad altro. Lo spezzonamento americano, le bombe che cadono dal cielo, la morte e la distruzione che causarono: da parte dell’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Tomaso Locci, ogni anno si ricordano i tristi fatti con cerimonie e atti indelebili, come quello che ha denominato l’ex aeroporto militare “Campo di Aviazione di Monserrato Pauli”, “affinché non si dimentichi che questo luogo, che oggi ospita impianti sportivi e attività di svago, un tempo è stato il campo sorto per difendere la nazione dagli attacchi dei nemici” aveva spiegato Locci.
Intere famiglie, quel lontano 31 marzo del 1943, morirono a causa dei bombardieri anglo-americani: donne, uomini e tanti bambini. Molto probabilmente la furia di chi attaccò si concentrò soprattutto sul centro abitato anziché sull’aeroporto che non subì gravi danni: 3000 spezzoni furono lanciati sui cittadini inermi 15 minuti dopo che le sirene e le campane della chiesa di Sant’Ambrogio suonarono per allarmare la popolazione.
Una strage che, sino a poco tempo fa, raccontava ancora Cesare Pibiri, scomparso di recente, reduce dalla furia snaturata della guerra. All’età di undici anni lavora nei campi e quel pomeriggio, mentre era impegnato nella potatura di una vigna, nella zona di Is Mirrionis a Cagliari, sentì gli aerei passare e bombardare, si girò a guardare verso la sua Monserrato e vide il fumo nero che sovrastava il paese; preso dalla paura e dalla preoccupazione per la sua famiglia corse verso casa. Quando arrivò, vide le due sorelle e il fratello in preda alla disperazione. Gli comunicarono che sia la madre che il padre erano stati colpiti dagli spezzoni e che i loro corpi erano stati portati a Cagliari, forse all’ospedale Civile o alla Croce Rossa.
Entrambi i genitori morirono: il piccolo Cesarino dovette diventare grande tutto in una volta e, come lui, tanti altri bambini che rimasero orfani.
Testimonianze che non devono essere dimenticate ma ben custodite e tramandare affinché rimangano sempre vive nella memoria di tutti.