“Mia figlia nata morta a Cagliari, dopo 17 anni il giudice mi ha dato ragione: non mi sono mai arresa”

Giulia Aresti, oggi 49enne, a gennaio 2006 ha perso in grembo la sua Marta. Condannati a 350mila euro di risarcimento 3 medici di Villa Elena: “Delusa per i tempi biblici”, dice la Aresti, “dicevano che era stato un imprevisto, tutto falso. Purtroppo, il procedimento penale per omicidio colposo è caduto in prescrizione: la perdita di un figlio è incancellabile”


Per le ultime notizie entra nel nostro canale Whatsapp

Osserva il mare di un fine 2022 con temperature anomale a Cagliari, Giulia Aresti, e guarda e riguarda le onde. Il caldo in inverno, però, quasi non lo sente. Perchè a proposito di anomalie lei, negli ultimi diciassette anni, è diventata esperta: è lei la mamma che, a inizio gennaio 2006, ha perso la figlia che portava nel grembo a Villa Elena, in via Dante a Cagliari. Un dolore che è sempre rimasto dentro di lei e che ha viaggiato, in parallelo, con una battaglia legale che, qualche settimana fa, l’ha vista vincitrice in sede civile: la giudice Monica Moi ha condannato la casa di cura, il chirurgo Maurilio Pinna, il ginecologo Nicola Pirastu e l’ostetrica Paola Licia Contu a un risarcimento di 350mila euro nei confronti di Giulia e del marito. La morte di Marta, avvenuta alla quarantunesima settimana, non è stato un caso o un imprevisto ma una “colpa dei medici”. È scritto nella sentenza: per la giudice c’è stata una condotta imprudente e negligente del personale sanitario e ostetrico. Vittoria per la mamma in sede civile, ma c’è da attendere il secondo grado perchè i tre dottori hanno già presentato, con i loro legali, ricorso: “Sono pronta ad attender altri due anni, ormai non mi ferma niente. Sono passati 17 anni per avere ragione. Sono soddisfatta per la sentenza della giudice Moi, per cosa ha scritto. Sono delusa per il penale, è tutto andato in prescrizione, non siamo riusciti ad andare avanti”, dice la Aresti.
“Leggere la sentenza per me è stato un sollievo, sapevo benissimo che nulla mi avrebbe ridato mia figlia ma ci tenevo ad avere giustizia, soprattutto per le tante cose non vere che sono state dette. La difesa si basava sul fatto che il mio fosse stato un imprevisto, cose che succedono. Invece, ero arrivata in clinica con le acque rotte e lì sono rimasta per 33 ore perchè ho scoperto, sulla mia pelle, che dalle venti alle otto del mattino successivo i dottori vivevano di reperibilità”. Il dramma era avvenuto tra il 6 e il sette gennaio di sedici anni fa. Al momento del parto cesareo la bimba era già morta e le indagini del Gip avevano appurato che l’allora neomamma non era stata seguita e controllata costantemente. E che non c’era, nella struttura, di notte, un ginecologo. Motivi che hanno portato il giudice civile alla condanna di clinica e sanitari. Il risarcimento di 350mila euro porta Giulia Aresti a un ragionamento: “Si dice che la legge è uguale per tutti, non è sempre così perchè bisogna vedere se una persona può permettersi di avere giustizia. Le spese per le perizie mediche non sono state una passeggiata, la forza per andare avanti in tribunale è anche economica. Il dolore per la perdita di un figlio è incancellabile, uno può solo conviverci. Ho avuto in seguito altri due figli, grazie a me e non ai medici che avevano detto che mi avevano salvato la vita”. Il riferimento è ai tre sanitari condannati al risarcimento: “Ero andata da loro perchè dovevo partorire e sono tornata a casa senza mia figlia”.


In questo articolo: