Medici in affitto al pronto soccorso in Sardegna: “Una strada inefficace, costosa e molto pericolosa”

L’allarme dei medici dell’emergenza: “Quale paziente vorrebbe esser addormentato in sala operatoria da un neo laureato non specialista in Anestesia e Rianimazione? Non si capisce perché un politraumatizzato o un infartuato possano essere considerati gestibili da un medico non specialista in urgenza, e quindi non esperto in quella disciplina”.

Medici in affitto al pronto soccorso? “Una scelta pericolosa e costosa”. Almeno secondo Salvatore Manca, medico sardo, presidente nazionale di Simeu (Società italiana della medicina di emergenza urgenza), contrario alla decisione adottata anche in Sardegna delle “guardie attive”, il sistema che prevede l’utilizzo delle cooperative per coprire la carenza di medici in pronto soccorso.
Dubbi legati alla qualità delle prestazioni e delle cure per gli utenti anche per la professionalità del personale, soprattutto circa le specializzazioni, ma anche banalmente le difficoltà per operazioni di urgenza  in ambienti poco conosciuti.
“In Italia manca circa il 30% di medici d’urgenza rispetto alle reali necessità”, scrive Manca, “per risolvere il problema, sempre con maggiore frequenza, si ricorre all’utilizzo di medici delle coop, spesso affidando loro la copertura completa, o in buona parte, dei turni di Pronto Soccorso.
Ai management delle ASL o delle aziende ospedaliere, questa appare come la soluzione più rapida, epiù “comoda” per ovviare ad un problema immediato e serio. Purtroppo però le coop di sono esclusivamente società economiche di intermediazione o meglio di fornitura di servizi.
“Non sono obiettivamente molto diverse dalle agenzie cui rivolgersi, ad esempio, per usufruire del servizio di badanti e/o baby sitter e assicurano in quelle ore e in quella struttura la copertura del turno, senza troppo badare al tipo di professionista disponibile. Che sia il dottor  X o il dottor Y, quale ne sia l’esperienza, la formazione e anche il livello di riposo, poco importa. Si rende un servizio nelle ore indicate”.
I costi per le aziende si aggirano attorno i 100 euro ora per un medico. Da un punto di vista organizzativo sapere che il turno sarà sì coperto (anche se spesso come dicevamo non si sa esattamente da quale professionista) può tranquillizzare il management aziendale rispetto a un compito svolto sulla carta, ma certamente non il Direttore dell’unità operativa di Pronto Soccorso, che del servizio ha la responsabilità diretta.
L’organizzazione del lavoro. Vogliamo far notare che ogni struttura ha un’organizzazione interna propria e spesso diversa dalle altre e anche solo i luoghi dove trovare le cose utili a svolgere il turno sono da conoscere.
Ci si deve, a questo punto, porre una domanda molto semplice, come trasferire tutto questo ”sapere” di procedure, tecniche, modalità, ruoli a chi viene a fare un turno ad ore una tantum (magari anche una volta sola) in un determinato Pronto Soccorso? Da un punto di vista del rischio clinico va sottolineato che con questa modalità è del tutto esclusa la possibilità di predisporre un percorso formativo anche elementare perché, proprio per definizione, si tratta di copertura di mancanza personale e non di affiancamento, ossia viene garantita la copertura del turno, senza particolari attenzioni con chi e come.
Altra problematica non secondaria è la totale non conoscenza dello stato di riposo del professionista preposto. Non è dato sapere da quali e quanti turni lavorativi il medico della cooperativa è reduce. La sua disponibilità non è infatti garanzia di un regolare flusso di gestione delle ore lavoro. Ci si domanda: viene da un periodo di riposo o da 12, 24, 36 ore consecutive di attività? Capita inoltre che spesso i medici risiedano anche a notevole distanza dal luogo al quale vengono assegnati. Le cooperative possono infatti sottoscrivere appalti in Regioni diverse, anche molto lontane fra loro.
Ciò purtroppo non esclude un’altra problematica, ossia che i professionisti possano arrivare alla copertura del turno magari dopo aver percorso viaggi massacranti. Se poi ipotizziamo che i fattori fin qui esposti si possano sommare è facile capire come possa essere esponenziale il risultato finale. Non certo a vantaggio del potenziale paziente.
Specializzazione. “Per poter ben espletare l’attività professionale nei Pronto Soccorso è necessaria la specializzazione in medicina di emergenza-urgenza o una disciplina equipollente – secondo quanto stabilito dalle tabelle ministeriali – ma raramente nella realtà delle cooperative ciò succede. Da chi vengano valutate e certificate l’esperienza, i titoli, le competenze del medico inviato a coprire il turno in PS non è chiaro. E’ lecito porsi anche questa domanda, alla quale sarebbe opportuno dare chiare risposte.
Molto pericoloso è il concetto, che sempre più aziende o Regioni stanno facendo proprio, che chiunque possa lavorare nei Pronto Soccorso. Questo accadeva moltissimi anni fa con un sistema molto diverso da quello attuale.
Oggi i Pronto Soccorso sono evoluti e sono diventati particolarissimi luoghi di degenza e cura che abbisognano di una formazione continua e complessa. La scorciatoia che, visto che di fatto mancano gli specialisti a causa del clamoroso errore di programmazione del Ministero della Salute e dell’Università, qualunque medico vada bene è uno sbaglio clamoroso.

A questo riguardo sorge una domanda semplice: quale paziente vorrebbe esser addormentato in sala operatoria da un neo laureato non specialista in Anestesia e Rianimazione? Oppure chi vorrebbe essere operato al femore da un oculista? Andreste da un ortopedico a farvi cavare un dente? Per le stesse ragioni non si capisce perché un politraumatizzato o un infartuato o un arresto cardiaco possano essere considerati gestibili da un medico non specialista in urgenza, e quindi non esperto in quella disciplina. È a nostro parere una strada molto pericolosa, costosa e inefficace e dispiace constatare il silenzio assordante delle organizzazioni sindacali, della politica, degli organismi di tutela dei  cittadini, che in pochissime occasioni hanno affrontato e analizzato il problema, come se ciò non riguardasse tutti in prima persona. Più che con le cooperative occorre lavorare per costruire il futuro”.


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