Mariolino Fercia, il grande talento che amava la San Benedetto

La storia di Mariolino Fercia raccontata da Nino Nonnis: come Riva non volle staccarsi dal Cagliari, lui dalla San Benedetto non avrebbe voluto mai separarsi 


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di Nino Nonnis

Ci sono giocatori di un tempo che una qualche carriera l’hanno fatta e sono diventati famosi e ancora oggi ricordati. Altri sono famosi, ma non hanno fatto la carriera che si dice avrebbero meritato. C’è anche chi non avrebbe potuto giocare in serie A, ma a livello inferiore era fortissimo e una certa fama se l’è ritagliata anche lui. Proprio di questi, che non assurgono agli onori della cronaca, voglio parlare. Il nome è Mariolino Fercia. Il padre Vittorio è stato buon giocatore, anche del Cagliari, famoso e stimato come allenatore e lui è cresciuto, come tanti allora, con ore e ore giocate su campi di fortuna e perdigonis. Portava gli occhiali e questo potrebbe essere uno dei motivi che ne hanno impedito la carriera. Li portava spessi, come si usavano allora, di quelli che se li togli sembri un altro. Altro motivo pare sia che, come Rivera, Riva e Mazzola, non se la sentiva di abbandonare la sua squadra, la San Benedetto. Non ha giocato nei pulcini perché spaventava anche le faine. Nei giovanissimi neanche perché dimostrava molti anni in più e lo rimandavano indietro. A 10 anni ne dimostrava 17, a 20 ne dimostrava 37, adesso sembra più giovane, non scherzo. La grinta non gli mancava, la personalità meno che mai. Giocava a centrocampo, ma lo trovavi in tutte le parti di campo, dove ci fosse un avversario da contrastare. Uno di quei giocatori temuti dagli avversari e anche dai propri compagni. Con lui dovevi impegnarti e dare il massimo, guai ad avere cali di intensità. Tutti, con lui al fianco rendevano molto di più, anche perché sapeva come schierarli in campo e sfruttarne le poche doti. L’allenatore faceva la formazione, lui li sistemava al meglio. L’ho visto giocare con la San Benedetto, in un campionato giocato testa a testa con la mitica Sardinia del compianto sig. De Montis, che avrebbe vinto il campionato, perché era la più forte. Con la San Benedetto era praticamente un derby. Fercia, lo chiamo semplicemente così, come si fa con Rivera, portava gli occhiali anche in campo, adesso lo sapete, immagino legati con lo spago, ma il suo piglio agonistico non veniva meno. A quei tempi non se ne vedevano troppi in giro, neanche a passeggio, e quei pochi venivano chiamati quattrocchi, per rimarcarne la stranezza. Mariolino, lo chiamo anche così, come si faceva con Corso, saltava anche di testa, e colpiva con coraggio distratto, incurante dei rischi, per gli avversari, e quando la partita finiva si faceva la doccia tenendosi gli occhiali addosso. Perché dite? E perché doveva toglierseli? Magari non vedeva la manopola dell’acqua calda e negli spogliatoi specie se si vinceva veniva a tutti l’euforia di fare scherzi, meglio vederci bene. Che tipo di giocatore era Mariolino Fercia? Era più dinamico di De Sisti, proteggeva la difesa meglio di Juliano, aveva il tiro più forte di Greatti. Con tutto ciò… del resto non l’avrei visto bene in serie A, a fare la riserva di Dino Sani, uno che il gioco lo addormentava. Famosa una sua espulsione: si rivolse all’arbitro, in seguito a uno sgambetto vistoso in area, aggiustandosi per bene gli occhiali spessi “Na’, ma ita è, no ci bisi? Ponirì is ollieras, o zurpu”. Si sa che gli arbitri non sono persone di spirito, in campo. “Ma narami rui, espulso per un consiglio medico!”.

 


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