Manuela Vadilonga:”Io al 118, storie di persone che amano il prossimo”

Non solo una divisa arancione, ma persone che dedicano il loro tempo agli altri. Turni e notturni in servizio con l’ambulanza a salvare vite umane, tra storie commoventi, rabbia, paura e tensione. Manuela Vadilonga, classe 1976, racconta una parte della sua vita: “Perchè la corazza arancione è come se ce l’avessi tatuata, in squadra si vivono emozioni che ti porti a casa, prima di dormire ripensi a tutto ciò che è successo”


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“Ci sarebbero da scrivere mille righe sul soccorritore, ma si cadrebbe nella retorica di essere poi definiti angeli del soccorso, invece siamo persone normali con un cuore grande, un pizzico di coraggio in più e vestite in arancione”. 
 
Lei è una di quelle, il coraggio non le manca, la vista del sangue non la impressiona, perché quando si è in strada e c’è da far presto per aiutare chi ha bisogno, non occorre pensare ma agire: divisa arancione, loghi e scritte del servizio 118 in evidenza, Manuela Vadilonga, classe 1976, cagliaritana ha il papà che faceva l’istruttore nei Vigili del Fuoco, (ora in pensione) e mamma impiegata con una forte propensione al comando, grado generale: Terminati gli studi al liceo – racconta la giovane – visto che per le donne non era contemplato il servizio militare, fui invitata a trovarmi un lavoretto estivo e vista la passione per il mare diventai bagnina di salvataggio. Una sorta di trampolino di lancio per quello che diventò il mio lavoro da li a qualche anno, la guida subacquea. Un percorso fantastico fatto di formazione continua e soccorso in mare, mi sono specializzata nella salvaguardia dei beni culturali e ambientali del mare, accompagnatrice subacquea per disabili ma non vorrei sembrasse un curriculum vitae, ma e’ la premessa per arrivare a raccontare quello che adesso e’ il mio mondo, il soccorso, in questo caso sulla terra ferma e nello specifico nel 118 come capo equipaggio”.
 
DIETRO LA DIVISA: UNA PERSONA. “Devo dire che diventare soccorritore è molto più che indossare la divisa arancione – sostiene Manuela Vadilonga – e qui non parlo in prima persona ma credo di dare voce a tutti i miei colleghi. Dietro questa uniforme c’e’ tanta formazione, notti insonni e un concentrato di emozioni  e sentimenti che una persona normale prova in un tempo più o meno lungo. Il soccorritore no, nella stessa giornata può provare gioia, rabbia, paura, tristezza e frustrazione nell’arco di 12 ore. Mi piacerebbe che si sapesse di cosa siamo capaci.  Per ogni angolo di Cagliari abbiamo aneddoti più o meno divertenti, tipo il mitico Gigi D’Alessio, chiamato cosi per la somiglianza fisica e perche’ canta le sue canzoni, piange una madre che sostiene essere morta ma  in realtà e ‘ viva e vegeta. Ogni volta ci chiedono: perché lo facciamo? La risposta non e’ semplice perchè le emozioni non si possono spiegare. Si creano legami molto forti tra di noi, perchè si vivono insieme eventi alle volte anche terribili. Si entra in case dove magari si respira la quotidianità, la tv accesa, tavolo apparecchiato per una cena in famiglia e ti trovi li, cercando di fare il possibile per salvare quel papà, che durante la serata ha avuto un malore, le urla e gli sguardi pieni di paura e speranza che ti riserva la famiglia, non si possono descrivere. Abbracciarsi e piangere dopo essere intervenuti su un incidente stradale, dove magari hanno perso la vita ragazzi giovani, fatto pure quello. Poi quelle lacrime le devi ingoiare, perche ci sono altre ore di turno da affrontare, altre persone da aiutare. Poi si torna a casa, e queste cose te le ricordi prima di dormire. Ma il giorno dopo suona la sveglia ti rialzi e ti rimetti la corazza arancione. Perché è una corazza, un po’ fa da scudo e ti protegge. Il problema e’ che questa divisa si toglie la sera, ma fondamentalmente è come se fosse tatuata, tant’è vero che proprio qualche giorno fa, rientrando da un ristorante con Chiara della 52 (chiamata cosi perchè ogni volta fuori dal servizio le capitano eventi in cui è costretta a chiamare la centrale operativa e farsi mandare l’ambulanza) abbiamo soccorso un anziano signore che cadendo si è rotto il naso, nell’indifferenza generale di chi tirava dritto perché “Oh mio Dio, è pieno di sangue“. Dedicato a Chiara della 52, Garzi, Giammi, Grazia V, Fabrizio, Alessandro, Patrizia, Nicoletta, Omar e Saverio.  
 
 
 
 
 


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