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Una lettera che gronda incertezza e disperazione, quella scritta alla Regione da Donatella Gramai e Fabrizio Marredda, coppia di parrucchieri di Macomer. Il loro salone è chiuso “dal sei marzo”, i soldi sono praticamente finiti e loro, nei fatti, chiedono solo una cosa: “Fateci riaprire”. Ecco, di seguito, la loro lettera:
“Mi chiamo Donatella, ho 38 anni, sono sposata e ho 3 figlie. Da 15 anni, insieme a mio marito, gestisco un salone per parrucchieri a Macomer.
Siamo delle Partite Iva e, come sa bene che appartiene a questa categoria, i problemi e le difficoltà sono all’ordine del giorno e per certi versi non rappresentano una grande novità.
Nel quadro italiano, che conta circa 17 milioni di pensionati, circa 2 milioni e mezzo di percettori di reddito di cittadinanza, 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici e quasi 15 milioni di dipendenti privati, le Partite Iva sono 5 milioni e 300 mila. Una fetta sostanziosa, che contribuisce in maniera importante a sostenere il sistema Italia. Nonostante gli enormi sacrifici, siamo sempre stati positivi: abbiamo acquistato il negozio, abbiamo rischiato e ci siamo sempre accontentati del poco, riuscendo a pagare tutto.
Poi è arrivato questo evento inaspettato e straordinario che ha dato l’ennesima batosta alle imprese e ai lavoratori: la pandemia. Abbiamo deciso di chiudere le nostre attività, per coscienza, qualche giorno prima del decreto. Personalmente, per continuare a pagare regolarmente tutto ciò che la mia attività m’impone, ossia i rappresentanti, i mutui, le finanziarie, le assicurazione, la luce e l’acqua, oltre che le spese per vivere, ho avuto la possibilità di accedere ad un finanziamento di 10mila euro. Ho voluto, facendo una scelta che oggi considero errata, non bloccare nessun pagamento. Nella mia mente “buonista”, credevo che quel prestito mi sarebbe bastato fino alla riapertura del salone. Ora ovviamente, se guardo alla data del 1° giugno, quel pensiero è del tutto surreale. Le promesse del Governo mi hanno illuso, soprattutto le belle parole del nostro Presidente del Consiglio, che in molti continuano ad elogiare. Io non posso permettermi invece di elogiarne le azioni, sono costretta a fare i conti con la realtà e non posso fare a meno di pensare che ciò che ci viene prospettato è un colpo mortale per le nostre piccole attività. Abbiamo assistito e siamo stati travolti da un fiume di parole, da lunghi discorsi nei quali ho avuto difficoltà a riscontrare qualcosa di concreto. Il Presidente Conte parla di aiuti alle aziende, ma dove sono? Dove sono i soldi promessi? Io ad oggi non ho visto un centesimo e appartengo a quei 2 milioni di partite iva che non hanno ancora ricevuto i famosi 600 euro. Noi non vogliamo l’elemosina, perché di questo si tratta. Vogliamo solo andare a lavorare, perché siamo abituati a vivere di questo, e credo che si stia calpestando l’articolo 1 della Costituzione “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.
Noi appartenenti alla categoria dei parrucchieri e degli estetisti non siamo degli incoscienti e tanto meno siamo indifferenti di fronte alla pandemia. Teniamo alla nostra salute, a quella delle nostre famiglie e a quella dei nostri clienti. Chiediamo solo di lavorare in sicurezza, dotati di ogni singolo dispositivo di sicurezza necessario, dai guanti alle mascherine, dalle mantelle agli asciugamani monouso sino agli igienizzanti e a tutto ciò che ci verrà richiesto. Spero vi sia una presa di coscienza, perché non si può paragonare la nostra zona con le zone più colpite del Nord Italia : ci aspettiamo che il Presidente Solinas sappia valutare e pesare la situazione reale esistente in Sardegna e sia in grado di dare risposte precise per scongiurare il baratro che si è aperto davanti a noi. In ballo c’è la nostra stessa sopravvivenza come attività, ma il rischio è anche quello di andare incontro ad un vero e proprio sciopero fiscale”.