L’inchiesta: ecco i tesori archeologici negati a Selargius

Inaugurato ieri l’ArkeoParco didattico


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Se non fosse per gente come Carlo Desogus, che nel suo terreno di Selargius ha realizzato e inaugurato ieri l’ArkeoParco didattico, dell’archeologia di Selargius e del suo villaggio preistorico battezzato con il nome de Su Coddu, oggi non parlerebbe nessuno.

Eh però – direbbero i bene informati – del villaggio si parla nelle pubblicazioni archeologiche. Giusto, anche se, a dire il vero, le pubblicazioni su quell’antico insediamento selargino, in provincia di Cagliari, sono veramente poche. E di sicuro non rivelano l’effettiva importanza di un vasto abitato preistorico che doveva essere molto esteso. E che è stato in parte occultato. Sono ben poche le immagini che girano in rete. Appena due istantanee sono ad esempio reperibili nel sito della Soprintendenza archeologica competente (Link).

E allora cerchiamo di saperne di più, de “Su Coddu” e dell’archeologia a Selargius. Chiediamoci come mai, se non fosse per l’iniziativa di un gruppo di cittadini privati che hanno realizzato (a proprie spese) un parco archeologico didattico, mettendoci fatica ed un terrno, non si muoverebbe niente, o quasi?

Andiamo a scoprire l’effettiva importanza dell’archeologia celata. Andiamo a vedere qualche scatto dei ritrovamenti locali, gentilmente offertoci proprio da Carlo Desogus che li studiò dal vivo, questi siti, scavandoli scientificamente affiancando il personale della Soprintendenza Archeologica nei primi anni ’90.

Come scrisse Marco Cabitza, il villaggio Su Coddu svela “una cultura autentica, caratterizzata in ogni suo aspetto, da quello economico a quello religioso, da quello artistico a quello organizzativo”.

<<Quella che abitava il villaggio di Su Coddu era una popolazione di cacciatori, di pescatori, di agricoltori e allevatori, tutte attività che – rivela Cabitza – venivano poste sotto la tutela e la protezione di un “pantheon” di divinità proto-sarde, nate per soddisfare i bisogni elementari dell’uomo e perciò intimamente legate alla terra. Dalla ceramica si manifesta un’arte “modellata a mano”. Incisioni, graffiti che compongono geometrie regolari, sono impressioni e segni, la cui eleganza formale può, senza dubbio, essere comparata alla raffinatezza della cultura del neolitico di “Ozieri”>>.

“L’insediamento preistorico di Su Coddu – Canelles, menzionato dal prof. Enrico Atzeni fin dal 1980, è situato alla periferia settentrionale del comune di Selargius, nell’entroterra del golfo di Cagliari e dello stagno di Molentargius, in fase di progressiva urbanizzazione da l967” racconta il sito web del Ministero dei beni e delle attività culturali. Non è dello stesso parere Carlo Desogus.

Da Ispettore onorario della Soprintendenza lavorò nello scavo dei “fondi di capanne pre-nuragiche” al fianco del professor Giovanni Ugas, allora funzionario della Soprintendenza. “Posso dimostrare che sono stato io a segnalare la presenza di questo insediamento, lo dico per onestà intellettuale e non perché ambisco a premi di scoperta, piuttosto perché c’è da fare di più, molto di più per salvaguardare e tramandare ai posteri la nostra storia e la nostra identità”, ribadisce Desogus.

I terreni selargini che celavano i resti delle capanne preistoriche sono ancor oggi una miniera di tesori. Andiamo a scoprirne alcuni, grazie ad esempio alle rivelazioni dello stesso Desogus che, in compagnia di Luigi Suergiu, ha pubblicato il volume “Selargius, i percorsi della memoria”. tra le righe del libro scopriamo che Su Coddu non è il solo insediamento archeologico alle porte di Selargius. Esistono tanti altri insediamenti, come quelli del periodo nuragico a Su De Piara, resti di tombe di giganti a Bacculau, cippi funerari a San Salvatore e in località Sa Serrianedda. Resti di pestelli sono emersi a Sa Sitza. Tombe del periodo romano furono scavate a S’Arroseri.

E ancora resti, stavolta punico-romani nella strada per Santa Rosa, frammenti fittili furono trovati in località Sa Mandara, risalenti a varie epoche: Ozieri, punico-romana. Per non parlare poi della località Mata ‘e Masonis, dove i resti di ossidiana spuntano, dopo ogni pioggia, nei terreni agricoli. compresi anche frammenti di cultura Monte Claro. Sottoposti a diverse campagne di scavo svelarono l’esistenza di un vasto insediamento il cui nucleo più antico risalirebbe al neolitico finale, al 2500 a. C. per l’esattezza, e al calcolitico iniziale (circa 2500 a. C.). Sono stati riportati alla luce fondi di capanne, alcune molto complesse, dotate o adiacenti a focolari di pietra, vasi tripodi, ad esempio per la cottura dei cibi. Ancora: strumenti di pietra e qualche raro strumento per lisciare il cuoio, le cosiddette lesine, realizzate in rame.

Successivi accertamenti svelarono che il villaggio si estendeva prevalentemente tra la vecchia strada comunale per Sestu, l’attuale via Nenni, e la strada per San Giovanni di Settimo, che costeggia il rio omonimo. E che, anticamente, rappresentava la sponda di un’area stagnante. Forse pescosa, e nel suo circondario, ricca di fauna. Dal 1994 ad oggi, però, si sono susseguiti solo “interventi d’urgenza”. Significa dunque solo interventi celeri, laddove venivano scoperti resti archeologici durante lavori stradali o edili.

Le cosiddette sacche preistoriche che, ad esempio, sono resti di focolari, fondi di capanne scavate nel terreno, circondate da un rozzo muretto e coperte da tronchi di legno e da frasche, sono riaffiorati anche lungo la via De Gasperi e in non pochi lotti adiacenti via Nenni. Gli scavi nel villaggio sono proseguiti “a macchia di leopardo”, considerata l’assenza di un progetto unitario, usando finanziamenti dell’amministrazione civica e grazie ai privati. E chissà quando nascerà un eventuale museo che esporrà questi reperti. Reperti che, si auspica, dovrebbero esser ben conservati, custoditi, protetti. Nell’interminabile attesa che, magari chi di competenza, possa decidere sulla loro eventuale esposizione e, speriamo, sulla loro fruibilità.

Marcello Polastri


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