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Appeso al collo ha un cartello: “Via cimitero dell’agricoltura”. La speranza è che non sia il nome della strada nella quale vive Fabrizio Concu, 55enne di Gonnostramatza, ma ci siamo quasi. Ha iniziato a lavorare nei campi quando aveva sette anni, oggi “dirige” quattrocentoventi pecore “e sono arrivato alla morte. Non ci pagano i premi dal 2016”, e c’è anche la questione, spinosissima, dei rimborsi legati alla siccità, ormai “congelati” da due anni. “Una crisi mai vista prima. Mia figlia va all’Università, l’altro mio figlio mi aiuta in campagna perchè sono stato operato tre volte alla schiena. Ho un affitto da pagare e, ogni mese, in casa entrano meno di mille euro”. Che, divisi per quattro – e senza dimenticarsi del dover pagare la quota mensile per poter avere un tetto sopra la testa – significano briciole o giù di lì. “Ho provato a vendere il bestiame, ma poi ho cambiato idea perchè non mi va di ‘buttarlo via’ così, dopo tanti anni. Questo è il mio lavoro, il lavoro che faccio da una vita”, dice, con gli occhi lucidi, Concu.
“Non sono mai andato in ferie e non vado nemmeno al bar perchè non me lo posso permettere, non ho soldi. È un casino dover tirare avanti così”, confessa il 55enne, “sono buttato in campagna da quando sono piccolo”. Crisi, quindi, con la C maiuscola. Ma tanti giovani, nel 2019, pensano a un futuro proprio nei campi. Concu è netto: “È un suicidio, non ce la faranno mai a reggere, già non ce la facciamo noi”.