L’altra faccia del reddito di cittadinanza, lo sfruttamento dei precari a vita

Tante le denunce sulle condizioni inaccettabili che i datori di lavoro offrono, soprattutto agli stagionali. Che preferiscono rinunciare e incassare il sussidio. Il sistema lavoro-dignità del lavoro è un pantano da cui l’Italia non riesce ad uscire

Le denunce sono tante e sempre dello stesso tenore: il lavoro che viene offerto non è un lavoro, non dignitoso di sicuro. E allora, meglio il reddito di cittadinanza, una cifra magari inferiore ma a zero costi e zero fatica. Il ragionamento ci sta tutto: perché farsi sfruttare se a parità o quasi di cifra lo si può evitare?

Il problema è tutto lì, nella mancanza cronica e avvilente della cultura del lavoro in un paese come l’Italia che della precarietà e dell’arte di arrangiarsi ha fatto la sua poco onorevole bandiera.

E la verità è che in Italia manca il rispetto del lavoro, soprattutto di quello stagionale e a prestazioni saltuarie, anche per ragioni culturali difficili da sdradicare.

Una cultura malata che si basa di un principio ancora più malato: “Ringrazia che un lavoro ce l’hai, non ti lamentare”. Non è così, perché avere un lavoro significa mettere a disposizione la propria professionalità, il proprio tempo, le proprie competenze, che vanno adeguatamente pagate e contrattualizzate. Invece, è tutto un si salvi chi può. Chi può sta a galla, gli altri affondano. Dall’ultima pizzeria di provincia alle Università più blasonate, dove un ricercatore passa anni a doversi scusare di esistere. Un fenomeno trasversale che è esploso nell’indifferenza generale, con i sindacati distratti, i politici assenti e i controlli colabrodo che lasciano filtrare fiumi di illegalità. Mentre tutto precipita, dignità del lavoro compresa.