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L’arrivo del Papa è stato dirompente, da viale Santa Avendrace, viale Trieste fino a Piazza del Carmine, seguito da un concentramento di folla. Poi il ‘papamobile’ con la scorta è salito abbastanza veloce in via Sassari e, attraverso via Mameli, è entrato nel Largo Carlo Felice, dove l’auto, a passo ridotto e con le guardie del corpo a terra, ha raggiunto il palco vicino al porto per la prima tappa.
Qui l’abbraccio con i lavoratori, gli imprenditori, con i rappresentanti del mondo del lavoro, che Francesco ha ascoltato con profonda attenzione, abbracciando tutti dopo i discorsi, con un trasporto fraterno. Già sono stati toccati temi riguardanti l’isola martoriata da problemi economici e il grido di dolore della Sardegna.
Papa Francesco ha espresso poi la sua vicinanza ai giovani disoccupati, in cassa integrazione e precari. “E’ una realtà che conosco bene dall’Argentina – ha detto il Papa – la mia famiglia lo ha patito, il mio papà ha sofferto e perso tutto”. Poi ha fatto coraggio, pur cosciente del suo ruolo per non dare alla parola coraggio il senso solo di “una parola di passaggio”. Un coraggio, quello del Papa, che deve spingere a fare di tutto come pastore e come uomo.
Cagliari è la seconda città che ha visitato in Italia, dopo Lampedusa, tutte e due in un’isola, e con sofferenza. La mancanza di lavoro toglie la dignità, ha detto il Papa, non solo in Sardegna, ma nel mondo. E’ un sistema economico sbagliato, con al centro un idolo, il denaro, mentre al centro del mondo ci deve essere l’uomo e la donna. Il dio danaro comanda e per difenderlo si ammucchiano tutti al centro e cadono gli estremi. E’ un’eutanasia nascosta, in un mondo senza futuro. Lavoro è preghiera: portare il pane a casa, amare.
Si instaura la “cultura dello scarto”: si scartano i vecchi e i giovani. “Noi non vogliamo questo sistema economico globalizzato” ha ancora detto il Papa e consegnerà al vescovo il discorso che aveva scritto, perchè le sue parole sono state improvvisate: “Non lasciatevi rubare la speranza, che brucia sotto le ceneri e bisogna soffiare”.E dobbiamo essere furbi perchè gli idoli sono più furbi di noi. Poi Francesco si è rivolto a Dio: “A te non è mancato il lavoro: hai fatto il falegname. Aiuta questa città, non lasciarci soli. Dimentichiamo l’egoismo e sentiamo il “noi” popolo che vuole andare avanti. Aiutaci a lottare per il lavoro”