Come ogni lunedì, dalle otto del mattino, nella Piazza dei Caduti il mercato si riempì di banchi colorati e gazebo traballanti, fissati con corde sospese da un palo della corrente elettrica all’altro.
Frutta e verdura, abiti usati, divise militari di soldati sconosciuti, chincaglieria di ogni genere invadeva la piazza occupando ogni spazio utile, in attesa che uomini e donne arrivassero a fare scorta di quanto necessario.
Il lunedì era sempre un giorno insopportabile per Angela. Il suo, unico nel paese, era un emporio dove si potevano reperire prodotti di ogni genere. Le merci arrivavano ogni settimana da Cagliari, alcune acquistate secondo il gusto personale della proprietaria, altre su ordinazione. Andavano dagli ingredienti per i dolci sardi, sino alle ciabatte di plastica per uomo. Angela conosceva a memoria le abitudini dei suoi compaesani e prevedeva le necessità: sapeva quando ordinare le maglie di lana e quali modelli le avrebbero richiesto, conosceva i gusti e le necessità degli uomini per l’abbigliamento da caccia e ricordava a memoria i compleanni dei clienti più fedeli per rifornirsi di candeline, palline argentate e zucchero a velo per la glassa delle torte.
Angela era zitella. Questo era l’aggettivo sprezzante che in tante pronunciavano quando la negoziante aveva le paturnie e mandava al diavolo le donne incontentabili che prima ordinavano e poi non ritiravano la merce perchè non soddisfatte. Essere zitelle in un paesino come quello era una colpa grave. Soprattutto perchè donne meno attraenti di lei avevano trovato marito.
Angela ogni lunedì diventava insofferente. Il negozio vuoto, le ore della giornata che non passavano mai, erano per lei qualcosa di esasperante.
Però quel lunedì Angela era stranamente serena. Si era svegliata di buonumore. Aveva raccolto i capelli in modo accurato, si era concessa l’apertura con un po’ di ritardo e aveva deciso di sistemare il negozio approfittando della calma cui andava incontro in quella giornata.
La sera prima aveva incontrato un uomo, un forestiero, mai visto prima in paese. Mentre rientrava a casa l’uomo l’aveva guardata e salutata con un breve cenno del capo e un sorriso.
Un uomo distinto, perfino elegante, aveva pensato. Si ricordò che le avevano parlato della vendita della farmacia ad un signore di Nuoro. Collegò , non sbagliandosi, le due cose.
Maria Mureddu entrò nel negozio verso le 11.30. Doveva ritirare degli ami per una canna che servivano ai figli per la pesca nel lago vicino al paese. Chiacchierarono a lungo sulla malattia del padre di Angela e della necessità di nuove viste mediche a Cagliari. Fu Maria a parlare per prima del nuovo farmacista. Raccontò ad Angela che era vedovo, molto ricco e si diceva anche molto a modo e di buon cuore.
Angela da quel momento non fece che pensare a questo inaspettato regalo del destino. Ricordò il sorriso dell’uomo e si convinse che quel gesto fosse sì di cortesia ma che probabilmente anche lui fosse rimasto colpito dalla sua persona.
Con la scusa delle medicine per il padre prese a recarsi quasi ogni giorno in farmacia. Arrossendo ogni volta che vi metteva piede e cercando di trattenersi più a lungo possibile, chiedeva ed otteneva consigli per curare quel povero uomo che pareva avesse ogni tipo di malattia.
Un collirio per gli occhi, una pomata per le piaghe, dei cerotti per una ferita provocata incidentalmente…i pretesti non mancavano e passarono lunghi mesi in cui arrivarono ad un livello di confidenza tale che presero a darsi del tu.
Angela aspettò con ansia e una certa eccitazione un invito, una gesto galante da parte dell’uomo, una parola che mostrasse in qualche modo l’interesse che aveva.
Passarono altri mesi, i rapporti tra i due divennero confidenziali, ma Severino il farmacista mai si preoccupo’ di andare oltre quella piacevole amicizia che aveva instaurato con la donna.
Due giorni prima della festa di S.Isidoro Angela decise di sospendere le visite in farmacia. Voleva rendersi preziosa agli occhi di Severino, come aveva letto in alcuni romanzi far capire che aspettava un passo, uno qualsiasi per mutare quella situazione che diveniva imbarazzante e che faceva circolare numerose e rumorose chiacchiere in paese.
La storia aveva fatto giri larghi, qualcuno li vedeva già come amanti clandestini, altri ritenevano che non ci si mettesse d’accordo per motivi economici e di appartenenza a classi sociali differenti. Ad ogni buon conto, la storia animò la vita monotona del paese e tutti aspettavano da un momento all’altro di vederli passeggiare a braccetto per il corso a conferma che l’affare era stato finalmente siglato.
Severino non cercò Angela. E Angela trascurò il negozio, persa dietro mille pensieri. Scordava di ordinare le merci, non sistemava più gli scaffali e la gente inizio’ a disertare l’emporio andando ad approvvigionarsi nei paesi vicini e al solito mercato settimanale.
Prima di Natale, Angela distrutta dal dolore di un amore mai nato, prese il coraggio e decise di andare in Farmacia.
Severino fu sorpreso di quella visita. Sorpreso e imbarazzato. Molte donne del paese avevano chiesto insistentemente di Angela mentre acquistavano farmaci, lasciando intendere che se aveva buone intenzioni di sicuro avrebbe avuto una risposta positiva perchè Angela, a parer loro, lo avrebbe voluto come consorte.
Severino non rispose mai e si limitò a sorridere e a minimizzare l’amicizia tra i due.
Angela entrando in farmacia fu diretta. Con le lacrime agli occhi chiese perchè non l’avesse mai cercata. Perchè non avesse addirittura voluto la sua amicizia se non una relazione.
Severino, con gli occhi bassi, non rispose subito. Raccontò ad Angela con parole semplici della sua malattia, dei pochi mesi di vita che gli restavano. Della volontà di non renderla vedova dopo pochi mesi di matrimonio. Che sì, l’amava ma non poteva e non voleva esserle di peso in quel modo.
Angela pianse ancora. Non aggiunse più una parola. Andò ad aprire il negozio, lasciò la serranda abbassata a metà. Sistemò gli scaffali e mise a posto tutte le merci.
La vita a metà. Quella che nessuno vorrebbe mai vivere. Una vita insignificante e fatta di giorni tutti uguali. Era meglio questo che pochi mesi da sposa felice o infelice che fosse? Pensò agli anni della sua giovinezza, scanditi dalle feste dei santi e da quelle del popolo. Pensò allo specchio che le restituiva costantemente un’immagine scollata di ciò che sentiva di essere dentro, nel profondo. Non si era mai sentita donna, mai desiderata e mai voluta. La negoziante del paese. La zitella. La donna che viveva per soddisfare i bisogni degli altri. Eppure aveva sentito il cuore battere per quell’uomo. Aveva immaginato di mangiare seduta al tavolo guardando negli occhi qualcuno. E avere mani sui suoi fianchi snelli e sul viso, sentire la carezza delle parole pronunciate solo per lei.
Tornò alla farmacia, con le gambe che le tremavano. Si fermò sulla porta e disse a Severino “Chiudi la farmacia…andiamo”.
Severino non ubbidì. Si rese conto che ad Angela non interessava il futuro, visto che non aveva mai cominciato a vivere prima di quel momento. E malgrado avesse letto negli occhi della donna quella risolutezza e quel fuoco che implorava una scelta, non cambiò idea.
Angela si incamminò lungo il viale, incurante della curiosità della gente che non l’aveva mai vista andare per le vie del paese a quell’ora. Sedette sul muraglione vicino alla chiesa, svuotata, senza poter immaginare e senza poter pensare ai giorni da lì in avanti, con la bruciante rassegnazione di chi non avrebbe mai mescolato, come aveva creduto, la propria liquida e insignificante vita con quella di un uomo. Lei, la metà del niente.