
La sanità sarda è come un inferno a ostacoli, dove ormai i medici nei pronto soccorso vengono presi in affitto tra i neo laureati, non specializzati. Dove sei praticamente costretto a togliere un neo da un dermatologo privato anche a 502 euro perchè la prima visita al San Giovanni di Dio, se va bene, te la regala a dicembre Babbo Natale. Colpisce l’indifferenza dei medici che dovrebbero ribellarsi ai turni massacranti, dei primari che alzano spesso le spalle, dei dirigenti e dei politici che continuano a effettuare tagli su un sistema più malato dei pazienti costretti ad attendere circa 9 mesi per una visita. E “costretti” soprattutto ad andare in privato magari per essere curati dallo stesso medico ma nel suo studio, tra i 50 e i 150 euro, e molti non hanno i soldi nemmeno per comprarsi i farmaci, ma le visite le devono pagare. Poi ci sono i tanti, vitali controlli bloccati, diabetici o malati di tiroide, cardiopatici con controlli negati e rimandati anche adesso che sono state eliminate tutte le restrizioni di un Covid al capolinea.
Poi c’è il “business” delle ecografie, delle radiografie: esami essenziali per fare una diagnosi e che ormai vengono prescritti quasi sempre anche dai medici di base, e anche qui l’iter è lo stesso. “Ha un dolore al costato? Facciamo subito l’ecografia”, come fosse un mantra. Ti fa male un ginocchio? Ecografia e risonanza magnetica, escludiamo subito il menisco o la rottura dei legamenti. Se provi a prenotare però un test in un laboratorio, devi aspettare spesso anche due mesi, tra i dolori, impegnativa alla mano. Ma se dici che la fai a pagamento, al costo di 150 euro per una eco all’addome, i tempi si accorciano talvolta anche a pochissimi giorni. E’ il sistema della sanità sarda a vivere anche di piccoli trucchi, di soldi dei pazienti che pagano le tasse spesi lecitamente per la giusta divulgazione in convegni o campagne informative e pubblicitarie a senso unico, ma che sicuramente servirebbero di più per potenziare organici ospedalieri ridotti all’osso, o reparti dove i pazienti vengono sbattuti nei corridoi, o per dare più sicurezza i ospedali dove tanti malati sono stati contagiati dal virus anche andando a banali controlli di routine. E si sa che ci sono politici che si sono spesso vantati di avere il potere di influenzare tante decisioni, e personale sanitario che deve abbassare la testa.
Andatelo a chiedere per esempio a Carlo Melis, 63enne di Assemini. Che ha ascoltato ciò che gli avevano detto i medici del Brotzu, ma ha deciso anche di fare un tentativo all’Humanitas di Rozzano, in Lombardia. Risultato? “Un semplice intervento, problema risolto e non devo portare nessun catetere fisso”. Sembra un racconto di fantascienza, invece Melis conferma che è, purtroppo, tutto vero. Una diagnosi, per di più fatta a pagamento, sennò chissà tra quando sarebbe potuto essere visitato, che è stata smentita da altri medici: “Avevo un problema urologico, ho fatto una visita a pagamento, duecento euro. Al Brotzu i medici mi hanno fatto la diagnosi, proponendomi di portare un catetere fisso”. Che è fastidioso e, in parte, invalidante a qualunque età, figurarsi a poco più di sessant’anni. Melis, però, non si è fidato. E, alla fine, ha fatto bene: “Ho preso un aereo e sono andato in Lombardia, all’Humanitas di Rozzano. Lì è bastato un semplice intervento per risolvere il problema. E non ho nessun catetere, ora tutto è perfetto”, racconta, soddisfatto ma comunque ancora incredulo per quanto ha vissuto un anno fa.
Oppure andatelo a spiegare ad Antonio Abis, 75enne di Cagliari, tra la primissima visita al San Giovanni di Dio (ospedale smembrato in nome dello spostamento dei reparti dal cuore della città al Policlinico di Monserrato) e la biopsia post intervento chirurgico, poco sopra l’orecchio destro, è passato quasi un anno. “Dovevano vedere se c’erano cellule tumorali. Per la prima visita, solo per la prima, sono passati tre mesi, poi c’è stata quella di controllo e, dopo, quella che ha portato all’appuntamento per l’intervento. Da settembre a fine marzo, sono passato per il Cup e non ho pensato a rivolgermi ad un privato”, spiega. E ciò che, invece, non è riuscito a farsi spiegare Abis, è il perchè delle lunghe attese, ma un’idea se l’è fatta: “Sono stato molto preoccupato, chi non lo sarebbe quando si sente parlare di un tumore maligno? Ormai si sa che la sanità viaggia con mesi di ritardi, la situazione è questa. Dicono che quella italiana sia la migliore che esiste, figuriamoci allora dove lascia a desiderare. È tutto indescrivibile, difficile parlarne. Un giorno ti visita un medico, un altro giorno un altro. Non è come andare dal privato. Saranno bravi e accurati, prenderanno mille precauzioni ma il tempo passa, soprattutto in una clinica universitaria dove ci sono anche giovani che devono fare esperienza. Va bene tutto, ma non si possono tenere i pazienti al passo con i loro tempi”.