Il “pirata” che ha ucciso il sardo Davide Marasco chiede i domiciliari, la mamma: “Pronta a incatenarmi”

Naim Xhumari, l’albanese 49enne che ha investito e ucciso il panettiere 31enne, potrebbe continuare a scontare fuori dal carcere la condanna a 7 anni. La madre della vittima, Maria Grazia Carta: “Se il giudice dirà di sì mi incateneró al tribunale”


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La condanna a sette anni e due mesi gli è stata inflitta a gennaio: rito abbreviato per il reato di omicidio stradale e di omissione di soccorso. Naim Xhumari, l’albanese che ha travolto e ucciso, da ubriaco, lo scorso 27 maggio, Davide Marasco (figlio della nuorese Maria Grazia Carta) potrebbe però uscire presto dal carcere e continuare a scontare la pena agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico. Il giudice gli ha già bocciato la richiesta, ma lui ha presentato un ricorso e la decisione è prevista a giorni da parte del tribunale del Riesame di Roma. A confermare la notizia è l’avvocato difensore della madre di Marasco, Vincenzo Morganti, che segue il caso sin dalle battute iniziali. Davide Marasco stava andando al lavoro, a Roma, quando è stato travolto dall’albanese, che stava percorrendo contromano una strada al volante di una Ford Fiesta. Dopo l’impatto, era fuggito ma era stato rintracciato quasi subito perché la sua macchina era finita in panne. “Se il giudice accoglierà la sua richiesta faremo ricorso, l’uomo risulta senza fissa dimora e potrebbe fuggire, facendo perdere le proprie tracce, anche se ha proposto di andare a vivere in una casa di una sua conoscente”, spiega il legale, “come sempre, ho piena fiducia e rispetto del lavoro della magistratura”. La madre del 31enne morto, Maria Grazia Carta, nata in Sardegna e insegnante in una scuola di Tor Bella Monaca a Roma, nell’ultimo periodo ha perso il sonno.
“Spero che l’assassino di mio figlio resti in carcere a scontare tutta la pena. Non ha ucciso un cane ma una persona innocente”, dice la Carta. “Sono pronta a incatenarmi fuori dal tribunale per protesta, sto pagando per avere giustizia. Gli assassini devono stare in carcere e dimostrare con i fatti che sono pentiti, non con delle lettere”.


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