Il grande flop di Marina Cafè Noir nella “capitale” della Cultura

Storia di un festival che ha perso valore e identità, emblema della Cagliari di oggi


Per le ultime notizie entra nel nostro canale Whatsapp

Un disagio continuo, per quest’ultima edizione 2014 del Marina Cafè Noir. Innanzi tutto il titolo, che, non corrispondendo più alla location, genera una sorta di nostalgia dei luoghi. Sì, perchè la Marina è un luogo dell’anima, non c’è dubbio: ci si arriva a piedi dal mare, è una serie di vicoli che s’intersecano come un rinnovo all’incontro, ci sono tanti locali, bar, ristorantini, odori di fritture, vocii. Lì si andava al Festival, ma era un crocevia d’incontri, di scambi, si camminava e si ascoltava, si beveva un drink… Il “festival delle letterature applicate”, con questo suo nome difficile, rimanda a qualcosa di molto diverso, accresciuto dal titolo attribuito a tutta l’iniziativa: “Non tutto è in vendita”. Appunto, verrebbe da aggiungere. Nella didascalia dell’iniziativa si legge: “Non sono in vendita la libertà, i sorrisi, le piazze, le buone letture, i rapporti umani, la leggerezza, la gioia, il confronto”. E meno male. Però, purtroppo, anche i luoghi segnano i percorsi e questo Terrapieno coi gazebo di fronte ad uno spazio ricavato da un “giardino sotto le mura”, col verde attrezzato, sa molto di festa dell’Unità, senza però la verve dei tempi d’oro della politica e degli ideali, bensì ridotto a spazietti circoscritti con poche sedie per poca gente.

Se a ciò si aggiunge che i pochi nomi di richiamo (vedi Luciana Castellina e Sandro Ruotolo, tra i molti) danno forfait all’ultimo minuto, quando la gente è già seduta per l’appuntamento, pagato il salatissimo parcheggio sotto le mura, e poi si sente dire che l’appuntamento va a vuoto, non basta scusarsi. I nomi in programma sono per pochi (eletti?) che li conoscono, alcuni forse dettati dalle scarse risorse, perchè magari è gente che viene gratis o cerca vetrine. Però non mancano i nomi accreditati locali, quelli di sempre, i soliti giri, le solite storie , i reading dei loro romanzi in cerca di pubblicità e i banchetti dei loro libri. Meglio non citare, qualcuno potrebbe offendersi. Non si conosce il criterio ‘letterario’ con cui si scelgono i nomi, i contesti, perchè c’è un disorientamento tematico, non c’è un filo conduttore. Si alterna l’economia sostenibile coi racconti di città, le rivoluzioni mancate, un po’ nostalgiche, l’operaismo, la musica, la mafia, il calcio, le carceri, i partigiani, gli sbirri, e tanto altro con il suo contrario. Resta da capire a chi e a che cosa sono applicate queste letterature. E poi c’è gente che legge pagine e pagine da libri sconosciuti anche a chi con la lettura ha molta dimestichezza, come se poi leggere sia attitudine per tutti e non solo di chi sa pronunciare le parole. La gente viene, anche tanta, soprattutto alle ore dell’uscita giovanile, guarda, chiacchiera ad alta voce come chi non abbia intenzione di sentire, ma vedere chi c’è e parlare d’altro. Non ci sono addetti ai lavori, come in un festival letterario che si rispetti. C’è la convinzione che basti un microfono, due pagine lette, quattro strumenti non sempre suonati bene per garantire un evento. Se è questo il senso di Cagliari ‘capitale della cultura’, ma forse il discorso potrebbe estendersi ad altri eventi sardi che ricevono lauti finanziamenti, poveri noi. E meno male che di notte si accende la luna su una città dalla bellezza ammaliante, sullo specchio del mare.


In questo articolo: