Per le ultime notizie entra nel nostro canale Whatsapp
di Antonio Meloni
Sono parole amare quelle di Antonella S, classe 1974, affetta da una grave forma di ernia del disco con problemi di deambulazione e forti dolori, che giunti ormai a livelli intollerabili le impediscono non solo di portare il pane a casa ma di condurre le più basilari faccende domestiche.
La donna, residente a Quartu Sant’ Elena, separata e madre di tre figli a carico, accusa il sistema sanitario ospedaliero al quale si è rivolta dopo mesi di sofferenze, alleviate dai pesanti farmaci prescritti dal medico di famiglia ma non in grado di risolvere il problema in via definitiva.
Sette ore di attesa al pronto soccorso dell’ospedale Brotzu di Cagliari, nella speranza di essere inserita nelle liste per una semplice visita neurochirurgica, che dovrebbe condurre poi all’operazione vera e propria, indispensabile in quanto unica possibile opzione, seppur rischiosa, per una guarigione definitiva.
Ma la fila si rivela infinita, racconta Antonella, che volendo prenotare un appuntamento dovrebbe attendere circa sette mesi rischiando nel frattempo di morire di stenti.
I medici, dal canto loro, sembrano avere le mani legate e tentano di risolvere il problema sedando momentaneamente la paziente con delle iniezioni di cortisone, per poi rispedirla a casa con il classico scaricabarile e la donna, il giorno dopo, si ritrova nella stessa identica situazione.
L’alternativa sarebbe quella di rivolgersi ad un ambulatorio privato, con un notevole dispendio economico che la signora non è in grado di sostenere.
Non si tratta di un caso isolato ma di un destino condiviso da milioni di italiani, intrappolati nella trappola burocratica di un sistema sanitario definito da molti come non soltanto efficiente, ma posizionato tra i migliori al mondo. Secondo Bloomberg, in un articolo del settembre 2014 la sanità nostrana si troverebbe al terzo posto subito dopo Singapore ed Honk kong.