di Alessandro, tifoso rossoblù
Caro direttore, sono un lettore, tifoso e soprattutto sardo, Vi scrivo con l’illusione che mi leggiate, Voi che rappresentate il megafono più grande del giornalismo regionale, quindi capaci di dare una piccola ventata d’ossigeno a questo mio sfogo. Il Cagliari calcio è morto dopo la partita di questa notte, una notte insana e che segna una pagina tristissima della storia del club rossoblù. E’ morto non solo per me, ma per tutti i tifosi che come me NON si riconoscono e non si sentono rappresentati da quanto è successo. Una vicenda squallida, triste e vergognosa allo stesso tempo. Una società che per il bene superiore della squadra ha costretto il suo allenatore a imporre al vice capitano e portiere titolare del Cagliari di lasciare la fascia di capitano. Lo ha imposto a un giocatore che, dall’olimpo della champions, è sceso nell’inferno della serie b, noncurante dell’ingaggio e della vetrina in cui doveva esporsi. Lui che già nella stagione 2007/08 mise le sue manone su una salvezza storica, quasi miracolosa. Ebbene, quest’uomo è stato costretto a lasciare la fascia e pure la gamba, perchè nella tristezza generale l’infortunio cade sempre a pennello. Ciò perchè qualcuno detta regole e morali, paradigmi di valori cui il detentore della fascia deve attenersi, pena l’immediata investitura di nemico della curva. Quella stessa curva che altrettanto facilmente appella il resto dello stadio come ”un pubblico di merda”, reo di non gradire la contestazione al proprio portiere. Quelli che cantano “il cagliari siamo noi” e voi “siete sempre un pubblico di merda”, come dire, riportando qualcuno di realmente celebre, “noi siamo noi e voi non siete un cazzo”. Eppure quel pubblico di merda si è schierato con il suo portiere, è maggioranza sia dentro lo stadio sia fuori dallo stadio, si abbona, investe i suoi soldi nella propria passione, si incazza, piange e soffre. Ma non conta un cazzo. Non sono padre, ma ho uno splendido nipotino di 5 anni che per la prima volta domenica ha visto il “suo” Cagliari nella partita casalinga contro l’Atalanta. Cosa devo insegnare a questa creatura?Quali valori e che sport gli devo raccontare?Come faccio a farlo innamorare del “suo”Cagliari, se in quel frastuono echeggiava forte l’urlo che “lui” era un pubblico di merda e che il Cagliari erano “gli altri”. Non mi importa della politica, delle regole non scritte che governano l’ambiente calcio e i rapporti tra tifoseria organizzata e società. So soltanto che stanotte è morto il calcio, il mio Cagliari e il senso di appartenenza. E senza senso di appartenenza il calcio è morto prima di nascere. Con rabbia e profonda vergogna.