Gli 80 anni di Mario Faticoni

Mario Faticoni suggella il festeggiamento dei suoi ottant’anni riproponendo uno degli spettacoli più intensi della sua carriera teatrale, TRAGOIDIA


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Mario Faticoni suggella il festeggiamento dei suoi ottant’anni riproponendo uno degli spettacoli più intensi della sua carriera teatrale, TRAGOIDIA, tratto da “Canto per un capro” del poeta bittese, trapiantato a Torino, Giovanni Dettori. Un concerto in versi per voce sola, con adattamento e regia di Bruno Venturi (produzione de Il crogiuolo, con un nuovo allestimento firmato Arcostudio), che va in scena allo spazio Fucina Teatro della Vetreria di Pirri, domani, sabato 28 ottobre, alle 21, ultimo appuntamento della rassegna che Il crogiuolo ha dedicato all’attore e regista veronese-cagliaritano. Spettacolo di raro pathos, costruito sul testo di Dettori, di altissimo valore letterario, dedicato alla scomparsa prematura del figlio del poeta, con l’allora (era il 1989) collaborazione dell’antropologo e filosofo Placido Cherchi e di un giovanissimo costumista, Alessandro Lai, oggi fra i più affermati sulle scene nazionali e non solo.

 

“Tra il 1988 e l’89  in una libreria di Cagliari scopro “Canto per un capro”. Ne sono conquistato ma non so cosa e come fare per portarlo in scena”, ricorda Faticoni.“Un giorno del 1989 si crea l’occasione di incontro con Bruno Venturi, parliamo di Carmelo Bene, di poesia, di Pasolini e poco dopo gli do il testo. Torna dopo un settimana con una proposta di adattamento teatrale. Straordinario, pensai”, racconta ancora il decano degli attori sardi. Che prosegue, rivivendo quella stagione: “Le prove e l’allestimento ci impegnarono tutto l’anno. Si provava a Cagliari, al Teatro dell’Arco e all’Adriano. Poi, debuttammo a Bitti la prima settimana di novembre, con grande emozione e partecipazione di popolo. All’Arco si andò in scena il 15 dello stesso mese. Non posso dimenticare la collaborazione di Placido Cherchi e i contatti epistolari con Dettori”.

A curare il nuovo allestimento di “Tragoidia” è sempre Bruno Venturi, regista bolognese, ormai sardo d’adozione, allora agli esordi: “Aver accettato di riprendere la mia prima regia a distanza di quasi trent’anni, è stato un atto di gratitudine nei confronti di Mario (Faticoni), di Giovanni (Dettori) e di tutti questi anni trascorsi”,scrive nelle sue note di presentazione. “Quando si cominciò, nel 1989, c’era ancora Placido, c’era Alessandro Lai, con le sue prime opere, e c’era Bitti, che allora mi appariva un paese mitico e lontano. Poi, negli anni quei semi (“feriti”, per dirla con Pinuccio Sciola) hanno dato frutto.
All’inizio – continua – la scenografia era costituita da 150 chili di mele, due postazioni microfoniche, un leggio alto e uno basso. La mia prima regia avveniva tutta sulle suggestioni che mi venivano  dall’immensa opera di Andrej e Arseni Tarkovskij, figlio e padre. E su un lungo studio effettuato sulla foné di Carmelo Bene… Prima di ripensare a questo ‘rievocare’, incontro Ryuichi Sakamoto con il suo ultimo lavoro composto per un film di Tarkovskij che non esiste… Lì ritrovo la dimensione del Canto (“Canto per un capro”) di Giovanni Dettori, piccoli suoni, “ispirati dalla modesta bellezza degli oggetti comuni e della natura nelle sue forme essenziali”.
Ho chiesto a Mario – conclude Venturi – di sforzarsi per rimettere in gioco tutto il lavoro di tanti anni prima: quei versi erano in lui, in noi e potevano diventare anche tutta un’altra musica… Ridurre il teatro al minimo (com’è stato, poi, del mio teatro in tutti gli anni che sono seguiti). Ritrovare Gianluca, il giovane figlio di Giovanni cui è dedicato il Canto”.


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