Il sacro, il profano, la vita di tutti i giorni e i ricordi. La morte di Gigi Riva, bandiera del Cagliari e di tutta la Sardegna, ha avuto la potenza di riunione, sotto lo stesso dolore, quarantenni e sessantenni sfegatati tifosi, preti e ammiratrici di “Rombo di tuono”. Una folla oceanica per la camera ardente allestita alla Unipol Domus, chi entra può vedere (come anticipato da Casteddu Online) Riva vestito con la tuta dell’Italia e, accanto, la sua maglia, la 11 rossoblù. Una lunga e silenziosa processione, il popolo di Riva ha solo la forza di scambiare qualche parola e dare qualche preziosa e interessante testimonianza: “Oggi era importante venire per testimoniare chi era Gigi Riva, è arrivato qui e ha trovato un popolo accogliente e coraggioso, dando tutta la sua vita per una giusta causa”, dice don Andrea Pelgreffi, sacerdote nella chiesa della Madonna della Strada: “Ricordiamoci di ringraziare il Signore perchè ci ha donato un uomo come Gigi senza che noi facessimo nulla. Anche vivere la sua morte nell’angoscia è un modo per dimostrare il tanto amore che proviamo per lui”. Ausilia Laconi ha pianto tanto, prima di mettersi silenziosamente in fila: “Sono qui perchè ammiravo Riva sin da bambina, gli andavo dietro e lo seguivo anche al Poetto. Era uno di noi, ci lascia un bel calciatore, di quelli che oggi non esistono più”, osserva. “Amava la Sardegna e la maglia, oltre al popolo sardo che ha difeso quando ci hanno definito banditi e pecorari. Era un mito”.
Massimo Melis ha 55 anni: “Sono nato nell’anno dello scudetto e, anche se non mi ricordo ovviamente nulla, è come se lo avessi vissuto. Oggi va via un pezzo di noi stessi e della nostra storia. Riva mi lascia tutto, in positivo. Una persona umile e riservata, che è riuscita a far parlare di se”. Distrutta dal dolore la supertifosa Milena Masala, che ha preparato un bouquet di rose rosse e blu da poggiare accanto alla bara della leggenda: “Gigi, mi manchi tanto, Ho solo la forza di dire questo, lui voleva davvero bene a tutta la Sardegna”.