Dipendenti furbetti dell’Ersu di Cagliari condannati: “Non sono truffatori, potevano fare pausa caffè senza timbrare il cartellino”

I ventuno dipendenti condannati dopo essere stati sorpresi a fare shopping o passeggiate durante l’orario di lavoro, arriva la dura presa di posizione di due sindacati: “Sono già stati puniti. All’epoca potevano uscire per la pausa caffè senza timbrare, era una pratica diffusa tra tutti, dirigenti compresi”


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Condannati in secondo grado – con la conferma da parte della Cassazione – per truffa aggravata e continuata. La vicenda dei ventuno dipendenti furbetti dell’Ersu, raccontata da Casteddu Online dopo la sentenza numero 56627 della Cassazione, riguardava le “libere uscite” di decine di lavoratori del maxi palazzo tra il Corso Vittorio e la via Sassari: c’è chi seguiva corsi di lingua inglese, chi andava a fare la spesa, chi una “semplice” passeggiata e chi in chiesa: tutte attività svolte, secondo le indagini, durante l’orario di lavoro, nel 2009. A distanza di qualche giorno arriva la presa di posizione dei sindacati Uil-Fpl e Siad, con tanto di lettera inviata al presidente della Regione, agli assessori regionali, ai capigruppo del Consiglio regionale e a tutti i consiglieri che siedono tra i banchi della massima assemblea politica sarda in via Roma. Per i sindacati – la lettera è firmata da Giampaolo Spanu della Uil e Alvando Melis del Siad, “a seguito della pronuncia della Cassazione dell’ottobre 2018, (notificata nel dicembre scorso) che ha respinto i ricorsi dei lavoratori nei riguardi della sentenza della Corte d’Appello di Cagliari del 2017, l’Ente ha osservato puntualmente le norme disciplinari del comparto Regione, riaprendo i procedimenti avviati nel 2011 e sospesi in attesa della conclusione dei processi. Pertanto, oltre alla condanna penale, i dipendenti coinvolti sono stati giudicati sulla base del codice disciplinare del Contratto collettivo regionale, e, a seguito della procedura disciplinare, hanno ricevuto le sanzioni previste dallo stesso Codice, pagando quindi per intero, su entrambi i versanti, le loro manchevolezze”.

 

E, dopo l’avviso che i dipendenti non possono essere licenziati perchè “non sono applicabili le norme del decreto legislativo numero 150 del 15 novembre 2009, noto come decreto Brunetta” e nemmeno quelle introdotte con il “decreto Madia, per il semplice motivo che i fatti”… “sono accaduti nei mesi di settembre ed ottobre 2009”, i due sindacati fanno notare che “l’inchiesta sui dipendenti dell’Ersu ha riguardato comportamenti sostanzialmente diffusi ed ordinari in quell’epoca ed in quel periodo storico, legittimati anche da una circolare della Direzione del personale della Regione che permetteva l’uscita per la pausa caffè senza timbratura. Secondo la verità processuale, la gran parte delle ‘assenze’ ha riguardato le uscite per la così detta ‘pausa caffè’, che sino al 2012 non erano puntualmente disciplinate dalle disposizioni contrattuali del Comparto Regione (come d’altro canto in gran parte del Pubblico Impiego), se non dalla citata circolare numero 21811 del 5 ottobre 2001. All’epoca perciò, lo ribadiamo, non esisteva ancora l’obbligo di attestare (con la firma e/o la timbratura) tutte le uscite dall’ufficio, ed era prassi molto comune, dirigenti compresi, quella di non registrare l’uscita per le ‘pause caffè'”. Insomma, uscire dal palazzo dell’Ersu di Cagliari durante l’orario di lavoro e non strisciare il badge era consentito, stando a quanto sostengono i sindacati, proprio per via della “pausa caffè”. Utile ricordare che dalle indagini sono emersi comportamenti, da parte dei ventuno dipendenti, un po’ diversi rispetto al tempo necessario per bere un caffè (come è possibile leggere nei nostri due primi articoli, qui e qui). Comunque, per i rappresentanti di Uil-Fpl e Siad, “Il confronto amministrazione-sindacati ha poi portato a regolamentare puntualmente le uscite di questo genere, che dal 2012 sono integralmente da recuperare. È quindi logico che, con gli occhi di oggi, quei comportamenti risultino ingiustificabili, ma non è corretto ignorare o far finta ipocritamente di non sapere quali fossero all’epoca le abitudini, e cercare di trasformare, anche attraverso iniziative di carattere giustizialista, questi dipendenti in delinquenti e truffatori di professione”.


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