L’aeroporto di Cagliari, alle sette di sera di un qualunque giovedì di giugno, è una giungla. Imbarazzante, inguardabile, invivibile: migliaia di persone in attesa del volo, buttate dove capita, senza posti a sedere ma neanche dove appoggiarsi, ragazzi seduti sulle scale che portano al piano di sotto, valigie buttate un po’ dove capita, file interminabili alle toilette, bar presi d’assalto perché almeno lì, anche se a caro prezzo, ci si può conquistare uno sgabello. Il Wi-fi? Scordatevelo, e non credete alle connessioni libere acchiappate dal vostro computer: ci sono, ma non funzionano. Su tutto, l’impietoso tabellone dei voli: nessuno è in orario, per la disperazione di chi sa che l’attesa sarà ancora lunga. Naturalmente, i primi a essere in ritardo sono i voli Ita in continuità territoriale: nonostante la continua propaganda sulla svolta voli per i sardi, non solo nulla è cambiato, ma è di sicuro anche peggiorato, con la Regione che continua a fare propaganda mentre i sardi pagano ritardi, costi esorbitanti e quotidiani disagi. A fronte di compagnie aeree che, proprio come Ita, incassano milioni di soldi pubblici.
L’aeroporto, poi. Uno scalo che si vende e si racconta come internazionale, in una città che ambisce a essere prima di tutto turistica, che non è assolutamente in grado di far fronte a una concentrazione di passeggeri appena sopra la media. Ambienti minuscoli, spazi angusti, comfort inesistente. Senza che nessuno si ponga evidentemente il problema. Non la politica, non la Sogaer. Mentre i sardi subiscono, come purtroppo sono abituati a fare, e i turisti si chiedono come sia possibile tanto disagio in una delle porte d’accesso più frequentate della Sardegna.