Debutto nell’ Isola per “Carmela e Paolino – varietà sopraffino”

5 febbraio 2015 – ore 20.30: NUORO/ Teatro Eliseo

6 febbraio 2015 – ore 21: OLBIA/ CineTeatro Olbia

7 febbraio 2015 – ore 21: ALGHERO/ Teatro Civico

8 febbraio 2015 – ore 18.30: IGLESIAS/ Teatro Electra


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Libertà d’espressione contro la dittatura con “Carmela e Paolino – varietà sopraffino”, versione italiana del celeberrimo“¡Ay Carmela!” di José Sanchis Sinisterra, da cui Carlos Saura ha tratto l’omonimo film interpretatio da un’intensa Carmen Maura: lo spettacolo firmato Pupi e Fresedde – Teatro di Rifredi / Teatro Stabile d’Innovazione, con traduzione, adattamento e regia di Angelo Savelli, vede in scena Edy Angiolillo, eclettica attrice e cantante veneziana, volto noto del grande e del piccolo schermo, attualmente dedita soprattutto al teatro e Gennaro Cannavacciuolo, geniale fantasista, che ha saputo far rivivere i fasti del teatro d’arte varia nato a Napoli a fine Ottocento, su imitazione del café-chantant francese e dello spirito della Belle Epoque.

Raffinato gioco metateatrale per i due artisti, che interpretano due sconosciuti attori di varietà costretti, per il divertimento degli ufficiali nazisti, ad allietare le ultime ore dei condannati a morte con canzonette e monologhi del loro repertorio:“Carmela e Paolino – varietà sopraffino” trasferisce in un paesino dell’Italia del Centro Sud sotto l’occupazione tedesca, nel 1944, in pieno secondo conflitto mondiale, la vicenda originariamente immaginata da Sinisterra nel 1938 a Belchite, villaggio simbolo della distruzione portata dalla guerra civile spagnola (le cui rovine sono considerate alla stregua di un monumento nazionale, in ricordo di una delle pagine più tragiche della storia recente del paese iberico).

La pièce – che mette l’accento sullo stridente contrasto fra il carattere leggero dei numeri del varietà e il dramma dei prigionieri, ma anche il dilemma degli artisti, spettatori innocenti e impotenti di una tragedia – debutterà in prima regionaleDOMANI (giovedì 5 febbraio) alle 20.30 al Teatro Eliseo di Nuoro; la tournée nell’Isola proseguirà (sempre nell’ambito del XXXV Circuito Teatrale Regionale Sardo, con lo slogan pirandelliano “Giù la Maschera!”venerdì 6 febbraio alle 21 alCineTeatro “Olbia” di Olbiasabato 7 febbraio alle 21 al Teatro Civico di Alghero e infine domenica 8 febbraio alle 18.30 al Teatro Electra di Iglesias.

La verità sugli orrori della guerra – e sulla dittatura – viene svelata attraverso un episodio emblematico, ancorché inventato, almeno in parte, in cui emerge il senso sociale e politico dell’arte, e il ruolo e la condizione degli artisti, costretti sotto un regime autoritario a scendere a patti con il potere ovvero a prendere posizione contro le ingiustizie, in un difficile equilibrio in cui la libertà di espressione, e perfino la possibilità di raccontare il presente, vengono soffocate dal peso della censura. La dialettica fra l’arte – e in particolare il teatro, come rappresentazione della realtà e dell’umano – e il potere, è stata complessa e articolata fin dalle origini della tragedia e della commedia nell’antica Grecia: l’oligarchia dominante – fossero arconti o principi, come nell’Italia fra Umanesimo e Rinascimento, imperatori romani o sovrani d’Inghilterra, Francia e Spagna, fino al Novecento con l’avvento dei fascismi – ha sempre cercato di imporre confini, evitare le critiche e vietare la satira, cercando semmai di ampliare il consenso promuovendo forme di intrattenimento più innocue – ancorché feroci come i ludi circensi – e meno capaci di risvegliare le coscienze.

Carmela e Paolino – varietà sopraffino” suggerisce un viaggio nella memoria, e nella storia (del Belpaese e dell’Europa) rievocando lo stile e l’eleganza di quegli spettacoli d’arte varia in cui fecero il loro debutto in palcoscenico artisti come Raffaele Viviani e Nino Taranto, Ettore Petrolini, il principe della risata Antonio De Curtis in arte Totò, l’attrice e futura (anti)diva Anna Magnani, Erminio Macario, Gil e Cioffi, il trio Lescano, Renato Rascel e tanti altri. Una forma di divertimento popolare in cui l’ironia, e quindi la satira, sia pure tra le righe, mascherata d’ingenuità, faceva la sua comparsa beffarda a schernire e mettere alla berlina vizi e vezzi del potere: l’allegria e una certa malizia attiravano un pubblico variegato, che ritrovava sulla scena, narrati con brio, frammenti della propria vita, riferimenti velati alla realtà, note dissonanti e spunti critici pur dietro la maschera di una schietta comicità, di un carattere brillante e perfino spensierato o di un sottile umorismo. Si possono soffocare le parole, spegnere (perfino nel sangue) il dissenso, ma non impedire alla gente (e in particolare agli intellettuali e agli artisti, siano essi attori e drammaturghi, poeti e scrittori, architetti e pittori) di pensare: la fortunata pièce di Sinisterra affronta il tema scottante della libertà di parola e di pensiero, e dei diritti fondamentali dei popoli. L’instaurazione del regime militare in Spagna, come l’avvento del fascismo in Italia, costruito intorno al mito dell’uomo forte al potere, quasi una forma di risposta reazionaria al diffondersi dei movimenti operai e solidaristici, e alle rivolte contadine, ha avuto come inevitabile effetto collaterale l’inasprirsi della censura contro le voci fuori dal coro, rispetto alla propaganda, le menti avverse alla politica governativa, o anche solo lontane dall’idea di un’apologia del potere.

 

Lo spettacolo

Carmela e Paolino” è l’adattamento italiano del testo del drammaturgo spagnolo José Sanchis Sinisterra “Ay, Carmela”, che dal 1986 ha avuto un successo strepitoso restando per anni in cartellone nei maggiori teatri delle capitali di Spagna ed America Latina, e da cui nel 1990 il famoso regista Carlos Saura ha tratto l’omonimo film interpretato dalla bravissima Carmen Maura.

Ay, Carmela” racconta la vicenda di due oscuri attori di varietà che durante la guerra civile cadono prigionieri dei falangisti e sono costretti, loro malgrado, ad improvvisare per le truppe uno scalcinato ma esilarante spettacolo dal tragico esito finale. Nel testo originale la vicenda si svolge in Spagna nel 1938 a Belchite, villaggio simbolo degli effetti della ferocia distruttiva della guerra civile spagnola, le cui rovine vengono ancora oggi visitate come un monumento nazionale. Il regista Savelli, d’accordo con l’autore, ha compiuto un’operazione di adattamento del testo trasportando l’azione nell’Italia del 1944, in piena seconda guerra mondiale, in uno sperduto paese della provincia centro-meridionale occupato dalle armate tedesche.

La parte centrale del testo originale è occupata dal ricordo dello spettacolo di varietà improvvisato da Carmela e Paolino per le truppe d’occupazione. Sinisterra ha qui trasfuso nel testo con grande abilità un insieme di riferimenti teatrali, canzoni, balletti e macchiette tipiche del piu’ tradizionale teatro leggero spagnolo. Anche qui è stata compiuta un’ operazione di adattamento ricostruendo uno spettacolo parallelo a quello previsto nel testo originale, un nuovo spettacolo che dell’altro rispetta le cadenze ed il procedere ma i cui riferimenti stilistici diventano senza mezzi termini tutti italiani: Viviani, Nino Taranto, Totò, la Magnani, Macario, Gil e Cioffi, il trio Lescano, Rascel ecc.

Carmela e Paolino” è dunque innanzitutto uno spettacolo, comico, popolare e musicale, un’accattivante performance per due consumati attori brillanti, che, accompagnati dal vivo da tre affiatati musicisti e grazie ad un ben congegnato meccanismo drammatico, possono cimentarsi su più piani espressivi (recitazione, canto, coreografia, ecc.) e con una ricca gamma di toni interpretativi che vanno dal farsesco al tragico.

Carmela e Paolino” è quindi anche un omaggio affettuoso e partecipe ad un certo teatro “basso” italiano e non solo italiano; un omaggio a tutta quell’anonima truppa di artisti “plebei” che, in ogni parte del mondo, pur non avendo nulla da ridere hanno, con le loro smorfie spesso turpi o patetiche, tenuto vivo il riso sui volti di chi aveva anche meno motivi di loro per ridere.

Ma “Carmela e Paolino” vuol essere anche e soprattutto un impietoso sguardo critico su questo mondo di “frivolezze”, un coraggioso e sgradevole ammonimento a questo ed a tutti gli “intrattenimenti” passati, presenti e futuri, perché non servano da paravento al nostro comodo disimpegno e da sedativo alle nostre piccole vigliaccherie quotidiane.

 

Dalla presentazione dell’autore

Ay, Carmela” non e’ uno spettacolo sulla Guerra (…) anche se tutto lo lascia immaginare.

Carmela e Paolino con il loro “Varietà sopraffino” sono la faccia umile e giocosa, però anche tenera e patetica, di uno scontro storico che naturalmente deborda dalla loro visuale limitata, che supera la loro pressoché inesistente coscienza politica e travalica la loro quasi nulla capacità d’azione. Loro non sono niente più che “artisti” e neanche di rango -la cui unica aspirazione è quella di sopravvivere con il loro lavoro in circostanze particolarmente avverse per “l’arte”… e per la vita.

La loro cattiva stella e gli alti disegni strategici dello Stato Maggiore (…) li catapultano proprio al centro del “teatro delle operazioni” belliche (…). Attraverso l’altro teatro, il loro, il vero, quello delle quinte e dei sipari, cercheranno di sfuggire alla tempesta e di salvare la pelle. Come? Accettando di rappresentare un’improvvisata soiree artistico – patriottico ricreativa di fronte all’esercito vittorioso (…).

Pur tralasciando l’anomala promiscuità tra “artistico”, “patriottico” e “ricreativo” (e cos’altro ancora?) dobbiamo sottolineare la penosa contingenza di trovarsi costretti a recitare “sub manu militari” o, come si dice, con la pistola puntata alla nuca. Per di più senza scene, senza prove e con Carmela indisposta… La vera goccia che fa traboccare il vaso à la decisione del comandante di far assistere alla soirée, come “ultima grazia”, un gruppo di prigionieri (…) che dovranno essere fucilati la mattina successiva.

Può l’arte, anche se di discutibile qualità, offendere la morte? Può il teatro, anche se così plebeo, ostentare la sua grottesca maschera di fronte all’impudica nudità della morte? In un certo senso si potrebbe dire che “Ay, Carmela” non è uno spettacolo sulla guerra, ma uno spettacolo sul teatro sotto la guerra. O anche un’opera sui pericoli e sui pregi del teatro, di un teatro infimo, marginale, nel mezzo della più violenta deflagrazione della nostra storia contemporanea.

Quali pregi? Quali pericoli? Tutti quelli contenuti in questo spazio dell’evocazione e dell’invocazione, questo incrocio tra realtà e desiderio, questo labirinto di voci, echi, presenze, assenze, luci, ombre, corpi, fantasmi…

Regno del sogno e della vita, macchina del tempo, spazio elettrizzato degli affetti, il teatro erige il suo fragile castello di carte nelle fessure della dura ed inospitale realtà, per offrire alla memoria un rifugio sicuro ed un nido duraturo. La memoria, sì: l’unica patria accogliente e fertile della rabbia e degli ideali.

José Sanchis Sinisterra

 

La vicenda

Pratola Peligna, un piccolo paese degli Abruzzi nell’inverno del 1944. Sul palcoscenico vuoto del teatro bombardato, Paolino oscuro attore di varietà riceve la visita del fantasma di Carmela, la sua compagna sulla scena e nella vita, uccisa qualche giorno prima dai soldati tedeschi durante un’improvvisata rappresentazione teatrale. Carmela descrive a Paolino la sua esistenza in un al di là dai tratti vagamente beckettiani, mentre ricordi, ripicche e gelosie riaffiorano, tra il melanconico ed il divertito, a riaccendere l’animo degli amanti di un tempo. Ecco così che in un travolgente flash back il vuoto palcoscenico si rianima degli opprimenti addobbi patriottici dei vincitori, i musicisti riprendono il loro posto in orchestra e Carmela e Paolino danno fondo al meglio del loro repertorio di fantasisti per conquistarsi la benevolenza delle truppe d’occupazione. Ma in sala vi sono, incatenati e muti, alcuni partigiani polacchi costretti ad assistere allo spettacolo come “ultima grazia” prima della fucilazione. Lo spirito di sopravvivenza ma anche di compiacenza dei due guitti sul palcoscenico arriva fino al punto di sbeffeggiare in un volgare numero comico-musicale la bandiera rossa dei partigiani. Colpiti nei loro sentimenti quest’ultimi reagiscono come possono: cantando. E’ un canto mesto e solenne. Carmela ne è profondamente turbata. Paolino per salvare la situazione si umilia fino ad esibirsi come un volgare petomane. Ma ormai Carmela ha unito la sua voce al canto dei partigiani ed un colpo di pistola di un ufficiale tedesco la uccide.

Il palcoscenico si rifà vuoto e spettrale.

Adesso Carmela racconta a Paolino come nell’al di là, nell’attesa di qualcosa d’imprecisato, lei con altre amiche hanno deciso di formare come un circolo, un’associazione per ricordare tutto quello che è successo e di chi ne fu la colpa.

Visto che i vivi non lo vogliono fare, saranno i morti a ricordare.

 

L’autore

Nato a Valencia il 28 giugno 1940, il drammaturgo e regista teatrale José Sanchis Sinisterra, anche docente e autore di saggi sul teatro, è considerato uno dei principali punti di riferimento delle giovani avanguardie dei paesi di lingua spagnola.

La sua prima grande passione è stata la letteratura. Laureatosi nel 1962 in Lettere e Filosofia a Valencia, nei cinque anni successivi è stato assistente di Letteratura Spagnola nella stessa facoltà, per ottenere poi nel 1966 la cattedra in questo insegnamento presso l’Instituto Nacional de bachillerato di Teurel, trasferitosi poi a Sabadell; nel 1971 è diventato docente presso l’Institut del Teatre di Barcellona, di cui è ancora professore di ruolo.

Negli anni sessanta ha iniziato ad occuparsi attivamente di teatro; nel 1963 ha fondato l’Asociación independiente de teatros e nel 1977 il Teatro Fronterizo, un centro di sperimentazione teatrale; questa esperienza lo ha portato ad aprire a Barcellona, nel 1988, la Sala Beckett, un nuovo teatro dedicato alla drammaturgia contemporanea, di cui è stato direttore fino al 1997.

Dopo i primi lavori (“Tú, no importa quién”, 1962; “La leyenda de Gilgamesh”, 1977) Sinisterra ha ottenuto un importante successo con “Moby Dick” (1982-83), e raggiunse la popolarità con “!Ay, Carmela!” (1987), un testo sulla guerra civile spagnola, da cui Carlos Saura avrebbe tratto l’omonimo film nel 1990).

 

Dagli anni Ottanta si è dedicato allo studio della contaminazione fra teatro e letteratura, continuando a scrivere testi complessi e drammi caratterizzati da una tendenza all’intertestualità. Fra i suoi lavori più recenti: “La escena sin límites: Fragmentos de un discurso teatral” (2002), “Flechas del ángel del olvido” (2004), “Misiles melódicos” (2006), “Teatro menor (50 piezas breves). Pervertimiento. Mísero próspero. Vacío” (2008), “La máquina de abraza” (2009), “Próspero sueña Julieta (o viceversa)” (2010).


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