Crisi e debiti, clamorosa protesta di commercianti e imprenditori del Cagliaritano: “Non paghiamo le tasse”

Scatta lo sciopero fiscale anche nel sud dell’Isola, l’annuncio della Confcommercio che “copia” la Toscana: “È la crisi più grave dalla seconda guerra mondiale, dal 30 novembre stop ai pagamenti degli acconti di Irpef, Ires e Irap”


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I commercianti del Cagliaritano e di tutto il sud della Sardegna sono pronti a non pagare le tasse e a “copiare” quello sciopero fiscale già promosso in Toscana dalla Confcommercio. È proprio la costola del Sud Sardegna della principale categoria che riunisce commercianti e imprenditori ad annunciare che, nelle prossime ore, formalizzerà l’adesione allo “sciopero fiscale. Le ragioni? Eccole: “Viviamo la più grave crisi economica dalla fine della seconda guerra mondiale: crisi di liquidità, di indebitamento, di occupazione ma, soprattutto, di prospettive. Una incalcolabile parte dei nostri iscritti e di tutte le imprese sarde non ha più riaperto dopo il primo lockdown o scomparirà per sempre nei prossimi mesi, lasciando le aziende e le quote di mercato raggiunte con vite di lavoro, di sogni e di sacrifici, nelle mani di chi arriverà – fatalmente – a rilevare le nostre imprese in liquidazione per un pugno di lenticchie. Nel frattempo, mentre con una mano lo Stato ci offre, da una parte, la possibilità di indebitarci affinché possiamo pagare le tasse e, dall’altra, ristori irrisori ed utili solo nell’immediato a coprire qualche bolletta, con l’altra mano continua ad imporre un’esazione fiscale dissennata, iniqua ed inaccettabile”, attacca Confcommercio. 

 

 

“Siamo arrivati al punto che le stesse fondamenta del sistema di valori su cui sta oramai fragilmente poggiando il patto tra Stato e sistema produttivo del Paese stanno venendo completamente a mancare. E noi non intendiamo assistere a questo disastro da testimoni impotenti mentre le nostre aziende falliscono ed una nuova diffusa povertà inizia a galoppare. I consumi subiscono una contrazione senza precedenti, i flussi turistici sono annullati tanto da mettere a rischio fallimento l’intero sistema aeroportuale italiano. Nel contempo, ci vengono imposti sacrifici arbitrari mentre assistiamo attoniti ad una crescita esponenziale dei profitti dei giganti del web oppure al fatto che centri commerciali e grande distribuzione possano trattare la vendita di prodotti che ai piccoli commercianti non è consentito vendere. La Confcommercio rappresenta un sistema di imprese che ha sempre diffusamente redistribuito ricchezza e benessere a tutto il territorio mentre oggi si ritrova in grado di redistribuire solo paura ed incertezza. E non certo per motivi imputabili a nostre responsabilità. Facciamo della legalità la nostra bandiera e siamo – per definizione – contrari ad ogni forma di evasione ed elusione fiscale. Noi, a differenza dei colossi, paghiamo tutto da sempre e da sempre sottostiamo ad un sistema impositivo che non ci lascia mai tregua. Ma oggi, con il residuo dei denari presi in prestito, preferiamo pagare prioritariamente dipendenti e fornitori rispetto ad uno Stato che non comprende, anzi calpesta le nostre ragioni di esistere. Pertanto sospenderemo il pagamento di tasse e imposte a partire dagli acconti Irpef, Ires e Irap in scadenza il 30 novembre prossimo”. E, in generale, “i tre acconti costituiscono insieme il 50% delle imposte dovute in un anno ed il loro mancato incasso dovrebbe quindi essere subito ben visibile alle casse statali, sottolineando con l’evidenza dei numeri il contributo del terziario nella composizione della ricchezza del nostro Paese. Ed è proprio questo l’obbiettivo della nostra iniziativa. Ma sospenderemo poi anche il pagamento di Imu, Tari, bollo auto, tassa sugli immobili e tutte quelle che le nostre aziende pagano direttamente. Non lo faremo invece per le imposte per cui facciamo da tramite (ritenute, imposte di soggiorno, iva, per intenderci) per poi girarle allo Stato. Da 9 mesi le nostre imprese lavorano pochissimo o non lavorano affatto. Non incassiamo e non abbiamo risorse. Eppure i costi di mantenimento delle aziende sono sempre identici e il Governo non lo considera, se non con una artata politica degli annunci. Il grave costo della pandemia non è diviso equamente, come imporrebbe la Costituzione, tra tutti: alcuni hanno continuato a mantenere i propri redditi e le proprie posizioni privilegiate, anche e soprattutto attingendo a piene mani dalla nostra contribuzione fiscale, mentre noi siamo privati della dignità e abbandonati allo sconforto. Ciascuno di noi, da solo, conta poco. Ma insieme abbiamo la enorme forza dell’amore per la libertà d’impresa, per la dignità, per le nostre famiglie, per i nostri sogni coltivati da una vita, per il nostro Paese, che senza le piccole imprese, ovvero oltre il 60% della capacità produttiva del nostro Paese e della nostra Regione, la vera spina dorsale della nostra economia, non avrà né eroi né cattedratici né angeli custodi né eserciti per alcun generale”. 

 

 

“Altri nobilissimi esempi di analoga protesta sono stati registrati nella storia: vi fecero infatti ricorso in altre epoche il Mahatma Gandhi, i padri costituenti degli Stati Uniti d’America, il popolo francese durante la Rivoluzione. Ma, senza volerci ergere a tanto nobile esempio, ciò che – oltre agli effetti diffusi e concreti – più ci preme, nel richiamare tutte le imprese sarde alla adesione alla nostra protesta, è la rassicurazione che ci deriva dal fatto che le modalità dello sciopero fiscale sono già state oggetto di un serio approfondimento giuridico che ci consente di dichiarare la nostra iniziativa all’interno dei diritti garantiti dalla Costituzione e di tenere fuori da ogni rischiosa conseguenza le aziende rappresentate”.