Comunità La Collina, una petizione e una festa per salvarla davvero

Un silenzio assordante, da parte delle istituzioni, sulla ventilata chiusura della comunità La Collina di Don Cannavera, per tanti anni punto di riferimento nella lotta alla droga e nel recupero dei tossicodipendenti. Dopo l’allarme dello stesso don Cannavera, ora parte una raccolta di firme e una bella iniziativa di protesta pacifica, anzi una vera e propria  festa 


Per le ultime notizie entra nel nostro canale Whatsapp

di Jacopo Norfo

Un silenzio assordante, da parte delle istituzioni, sulla ventilata chiusura della comunità La Collina di Don Cannavera, per tanti anni punto di riferimento nella lotta alla droga e nel recupero dei tossicodipendenti. Dopo l’allarme dello stesso don Cannavera, ora parte una raccolta di firme e una bella iniziativa di protesta pacifica, anzi una vera e propria  festa che verrà organizzata lunedì 23 gennaio dalle ore 18 alle 23. POi c’è una importante lettera aperta, scritta da Giovanna Floris e indirizzata  al Presidente Pigliaru, all’Assessore Arru e al Sindaco Zedda. Ecco il testo: 

Gentile Presidente,

ho deciso di scriverLe per manifestare il mio rammarico sulla gestione della vicenda della Comunità “La Collina”. Non conosco le motivazioni che la spingono ad un silenzio imbarazzante sul problema e non voglio giudicare senza sapere, tuttavia a tale proposito voglio raccontarle una storia che mi ha vista coinvolta per tre anni a partire dall’inizio del 1986. Ho avuto la fortuna di fare un’esperienza intensa e dura presso l’Istituto minorile di Quartucciu in qualità di medico incaricato. Tale esperienza ha improntato la mia vita e tutti i miei comportamenti futuri.

Ero reperibile 24ore /24 e ho condiviso con i ragazzi e con gli operatori ogni vicenda che riguardasse questa Comunità carceraria, che non fa rumore e alla quale la società presta poca attenzione, sia che si tratti dei ragazzi detenuti sia dei lavoratori e operatori, che si trovano a condividere la stessa vita dei “reclusi”.

Ho visto il dolore dei ragazzi e delle loro famiglie, i disagi degli agenti di custodia e le difficoltà di chi doveva gestire e operare per migliorare il servizio. In quel contesto ho conosciuto Don Ettore Cannavera, a quel tempo un giovane sacerdote che prestava la sua opera con amore e dedizione. Era diventato un punto di riferimento per i ragazzi che avevano bisogno di essere ascoltati e incoraggiati. Io mi occupavo della loro salute fisica e quando potevo li sostenevo anche psicologicamente.

In me vedevano la figura di una sorella maggiore e mi confidavano le loro difficoltà e le loro ansie. A Don Ettore raccontavano le loro aspettative e le loro speranze per un possibile futuro. In quel periodo era Giudice del Tribunale dei Minori il Dott. Palomba, con lui e gli educatori ci si poneva il quesito di come aiutare i ragazzi una volta usciti dal carcere, perché tornando nel loro ambito familiare e sociale nel giro di pochi mesi tornavano dentro.

Il dentro e fuori faceva sì che le loro vite si arricchissero non di buoni propositi e di buone maniere ma si rafforzassero le esperienze negative. Tutto ciò rendeva vana ogni ipotesi di recuperarli, diventando maggiorenni finivano nel Carcere per adulti.

Ci si interrogava, nelle riunioni che si tenevano, quale strategia si poteva attuare per reinserirli nella società e quali supporti creare. Si facevano varie ipotesi di intervento per arginare questo fenomeno, ma nessuna idea sembrava avere gambe.

Considerato che quasi il 70% delle presenze nell’Istituto provenivano dall’ hinterland, si pensava di realizzare un centro sociale di recupero o qualche cosa di simile. Dopo tre anni io seguii un’altra strada e lasciai l’incarico, ma mi interessai sempre da vicino delle vicende che riguardavano l’Istituto perché avevo a cuore la sorte dei giovani che avevo seguito. Dopo anni ho appreso con entusiasmo che si era arrivati ad attuare e creare, non senza difficoltà, perché le cose belle hanno bisogno di fatica e di impegno, la Comunità “la Collina”, che oggi ci invidiano in Sardegna e non solo.

Don Ettore Cannavera è stato l’ideatore, il promotore e sostenitore di questa creatura perché sapeva bene che i ragazzi hanno bisogno di una guida per ritrovare la strada maestra persa. Ha dedicato e sacrificato la sua vita per loro e tanto ha fatto e dato anche alle comunità sociali dei paesi viciniori.

Ha alleggerito il dolore di tanti genitori che non sapevano come ridare vita ai loro figli, ha liberato la società dei paesi limitrofi dalla piccola delinquenza, che in quel periodo offuscava la tranquillità dei cittadini. Don Ettore dovrebbe essere premiato per ciò che ha fatto e non osteggiato!!! Io spero che Lei e la sua Giunta non attuiate questo progetto di “morte”, perché è proprio ciò che sarà. Sarà la morte di una struttura, ma soprattutto la morte della speranza di questi ragazzi, che una volta scontata la pena tornano in un tessuto sociale che non ha strumenti per recuperarli.

In questa Comunità hanno trovato un padre, un fratello e un amico che ha saputo ridare vita e non morte alla loro esistenza. Voi siete la speranza dei Sardi e da Voi aspettano risposte e protezione, in Voi ripongono le loro aspettative e la giustizia molto spesso negata. (Giovanna Floris)

[email protected]


In questo articolo: