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La pratica antica per combattere il fuoco con il fuoco nelle campagne della Sardegna, definito “fuoco tattico”, come magistralmente seppure brevemente spiegato nell’articolo del nostro Casteddu online per l’intervento effettuato dal Corpo di Vigilanza Ambientale in località Sedda
Brandanu a Maracalagonis, l’altro ieri, nel corso del vasto incendio che ha minacciato anche le abitazioni periferiche del paese, è la
testimonianza dell’efficienza dell’apparato regionale in campo tutto l’anno, non solo in estate oltre che dell’utilità di certe pratiche
che anticamente si sono rivelate appropriate e utili per bloccare e contenere i danni che ogni anni devastano la Sardegna sotto il profilo
ambientale ed economico.
Ma i nostri progenitori non solo combattevano il fuoco con il fuoco ma facevano anche tempestivi interventi di prevenzione a partire dalla
primavera inoltrata, coinvolgendo tutti gli abitanti che comunque avevano proprietà e interessi nelle campagne.E in una tale operazione
erano in prima linea gli stessi amministratori comunali, che normalmente coordinavano gli interventi, anche utilizzando risorse
pubbliche. Ma la quasi totalità delle spese venivano coperte con manodopera personale o con contribuzioni in denaro.Erano le cosiddette
“Sas Cumandadas”, attraverso le quali si organizzavano squadre di operai che andavano a “spazzare” dalle erbacce e dai rovi le strade di campagna e i muri a secco dei terreni e dei tancati. Le squadre erano formate da contadini e da pastori proprietari e affittuari dei terreni mentre quelli che non potevano farlo di persona, pagavano una quota in denaro proporzionale alla superficie delle loro proprietà terriere in ragione delle giornate lavorative corrispondenti necessarie. Ma anche questa pratica è ormai tramontata e ne vediamo gli effetti, leggendo le proteste che anche negli organi di informazione appaiono giornalmente per lo stato di abbandono delle strade campestri che sono facili
occasioni di incendio anche per i piromani che possono agire indisturbati e lontani da occhi indiscreti.
Perchè i Sindaci della Sardegna non riprendono queste usanze che sono anche momenti di aggregazione e di confronto utili per la vita delle
stesse comunità?
Marcello Roberto Marchi